sabato 10 dicembre 2016

Sully (Clint Eastwood 2016)


Sully non è soltanto un prodotto di intrattenimento ineccepibile, confezionato secondo tutti i crismi del miglior cinema di Hollywood. È anche un film edificante, pensato per soddisfare appieno il nostro desiderio di veder trionfare il bene, se non nella vita almeno sullo schermo, veicolando il messaggio a molteplici livelli.

(Gli spoiler abbondano: in effetti più che una recensione è una riflessione rivolta a chi ha visto il film.)

Le héros c'est moi. Era già evidente da American Sniper (2014) l'interesse di Clint Eastwood per il quidam de populo che si ritrova a compiere atti di eroismo quotidiano durante l'esercizio del suo lavoro. Se però il cecchino protagonista del precedente film operava in un contesto eccezionale quale la guerra in Iraq, da principio l'unica eccezionalità di Chesley "Sully" Sullenberger è il carico di responsabilità che deriva dalla sua professione, tutto sommato ordinaria, di pilota di aerei di linea per una grande compagnia americana. Così come ordinari sono gli eroi secondari che lo aiutano nell'impresa di salvare la vita ai 155 passeggeri del volo 1549: un giovane operatore aeroportuale che gli fornisce tempestive informazioni sulla disponibilità di piste libere, il copilota Jeff Skiles che riesce a mantenere il sangue freddo nonostante l'emergenza, i sommozzatori della guardia costiera ed i tanti volontari senza i quali i passeggeri sarebbero andati incontro a morte certa per congelamento o annegamento nel fiume Hudson. Quello che Eastwood vuole comunicarci è che l'eroismo non è un privilegio riservato a pochi individui eccezionali: ciascuno di noi può diventare eroe se si presenta l'occasione giusta.

Creatività vs. conformismo: 1-0. L'esperienza e lo zelo non sono tutto: nei momenti critici ciò che fa la differenza è la capacità di trovare una soluzione che nessuno è in grado di concepire, unita al coraggio di infrangere il protocollo quando questo è insufficiente a gestire l'eccezionalità della situazione. Il rispetto delle regole non genera eroi; l'infrazione consapevole, sì.

La coscienza può dormire tranquilla. Sully è un eroe, oppure un pilota incosciente che ha messo inutilmente a repentaglio la vita di 155 persone? Questo dubbio lo perseguita di continuo, esprimendosi nelle forme che abbiamo già visto in innumerevoli altri film: incubi notturni, visioni catastrofiche ad occhi aperti, disattenzione nell'attraversare la strada (immancabile l'automobilista che urla "what's the matter with you?!"). Inizialmente pensavo che il problema di Sully fosse accettare che la felice conclusione della vicenda non fosse completamente imputabile alla sua competenza e alla sua prontezza di riflessi: dopotutto le cose avrebbero potuto andare molto male nonostante la sua abile manovra. In realtà lo scioglimento di questo dubbio non è una questione psicologica, ma è legato a filo doppio all'esito dell'inchiesta: Sully ricomincia a dormire sonni tranquilli nel preciso momento in cui la commissione incaricata dell'indagine accerta non solo che il suo comportamento fu ineccepibile, ma anche l'unico possibile in quella circostanza. Viceversa, se fossimo in un film di Kieslowski potremmo star certi che il protagonista continuerebbe ad essere tormentato dagli incubi nonostante il verdetto di innocenza.

L'amore trionfa. Anche la ricomposizione del nucleo familiare, messo alla prova dalla notorietà indesiderata e da alcuni problemi economici che potrebbero insorgere in caso di colpevolezza, dipende unicamente dall'esito dell'indagine.

Onestà vs. avidità: 1-0. "We did our job", dice Sully al suo copilota con un misto di umiltà e orgoglio. Anche i periti dell'impresa assicuratrice per la verità fanno il loro lavoro, ma il loro scopo, almeno secondo il codice morale del film, è meno nobile: vogliono dimostrare che il veicolo inabissatosi nell'Hudson non è protetto da copertura assicurativa, dal momento che il pilota non ha rispettato la checklist d'ordinanza. L'implicito assunto è che ogni lavoro è ugualmente dignitoso, ma certi lavori sono più dignitosi di altri. A quanto pare oggigiorno neanche a Hollywood banche e assicurazioni godono di ottima fama, anche se gli stessi operatori del cinema vivaddio usufruiscono di una copertura assicurativa. Magari un giorno vedremo un film con un assicuratore per eroe, chissà.

I cattivi si ravvedono... in mondovisione. Non c'è piacere più intenso del vedere un antagonista che crolla di fronte all'evidenza della propria meschinità, sancendo così il trionfo del protagonista. Quando poi questo avviene alla presenza di un'intera commissione di inchiesta, e per così dire in diretta, il piacere è massimo. Ecco perché l'innocenza di Sully è secondaria rispetto alla modalità in cui viene proclamata. Non basta che egli venga dichiarato innocente: è fondamentale che ogni membro della commissione, compresi gli infidi periti dell'assicurazione, vivano in prima persona l'esperienza del protagonista, magari con l'ausilio di simulazioni di volo e della colonna sonora originale. (A noi spettatori è riservato anche il privilegio del video.)

L'uomo è fondamentalmente buono. Hobbes può fottersi. L'America è piena di gente buona e volenterosa che compie azioni virtuose nel più completo anonimato: è a loro che è dedicato questo film. Si perdonerà quindi a Eastwood di aver prodotto un vero e proprio spot celebrativo delle forze dell'ordine, con tanto di distintivi luccicanti, bandiere sventolanti e sigle del NYPD in bella mostra. Ed ecco tornato in auge il caro vecchio cinegiornale di propaganda.

Spirito di squadra vs. individualismo: 1-0. Uno dei motivi per cui l'assicurazione è destinata a soccombere è che persegue un obiettivo egoistico di arricchimento personale. Sully al contrario trionfa perché mette il proprio talento al servizio della collettività, allo stesso tempo offrendo al prossimo l'opportunità di dare il proprio contributo. Nessun eroe è un'isola.

Realtà e simulazione. Sully gioca molto sull'opposizione tra realtà fattuale e simulazione, proponendoci da una parte una versione dei fatti che siamo propensi ad accettare come verità, dal momento che coincide con il punto di vista di un protagonista affidabile, e dall'altra una versione contrastante e dunque falsa di questa stessa verità, di cui sono portatori gli antagonisti. Quando i piloti ingaggiati dall'assicurazione effettuano le simulazioni di volo per valutare a posteriori la fattibilità di un rientro in aeroporto, il setting è quella stessa cabina di aereo da cui precedentemente abbiamo assistito all'incidente, con l'ovvia differenza che in questo caso non c'è alcun pericolo: al posto dei finestrini ci sono degli schermi su cui scorre una riproduzione virtuale di New York, i piloti recitano la loro parte in modo meccanico e il "fattore umano" è ridotto a zero. Il confronto fra le due situazioni rafforza la nostra convinzione che la versione del pilota sia fedele alla realtà, facendoci dimenticare che entrambe sono delle simulazioni di un evento di cui non abbiamo avuto esperienza diretta. Pertanto, il momento in cui la versione di Sully viene riconosciuta come quella "vera" è solo in apparenza una vittoria della verità (l'esperienza diretta di Sully) sulla finzione (la ricostruzione tendenziosa dei periti), perché paradossalmente sancisce ancora una volta la supremazia della finzione (il cinema) sulla realtà (la vita).

Le lezioni dei padri danno sempre buoni frutti. Durante tutto il film Sully mantiene un'espressione accigliata, severa. D'altra parte neanche da bambino doveva essere quello che gli spagnoli chiamano l'allegria dell'orto, tanto che in un flashback il suo mentore e primo istruttore di volo (potrebbe anche essere il padre, questo me lo sono perso) gli fa simpaticamente presente che sorridere non è vietato. Sully farà tesoro di questo insegnamento in extremis, quando a una battuta del copilota, l'ultima del film, prorompe in una risata liberatoria. Com'è bello vedere un vecchio brontolone sbocciare alla vita!

La versione ufficiale è quella che conta. Interrogato in seguito a una presunta effrazione nel suo appartamento, il protagonista di Strade perdute spiega così al detective l'assenza di telecamere di sorveglianza: "Preferisco ricordare le cose a modo mio... non necessariamente come sono avvenute". Mentre racconta alla moglie la ricostruzione dei fatti come emerge dalle perizie dell'assicurazione, invece, Sully osserva: "C'è qualcosa che non mi torna... non è quello che io ricordo." Da una parte abbiamo un passato impossibile da decifrare, perché intimamente legato al vissuto del protagonista; dall'altra c'è invece il conflitto fra una versione del passato oggettiva ed una adulterata, con l'implicito postulato di un passato inequivocabile e scandagliabile. In tutto questo l'esperienza soggettiva del protagonista non ha nessun valore, perché quello che conta alla fine è stabilire se il motore destro era davvero irrimediabilmente danneggiato, e se Sully avrebbe potuto ritornare alla base nonostante l'avaria. Lo stesso Sully esprime delle perplessità riguardo alla propria condotta, che però svaniscono completamente quando la "sua" versione viene ufficializzata. Curiosamente, il film stesso finisce per perpetuare quella stessa versione, imprimendosi nella memoria di molti spettatori come verità fattuale. Se Sully sia ancora oggi tormentato dagli incubi probabilmente non lo sapremo mai, e neppure ci interessa saperlo.

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