giovedì 4 gennaio 2018

Loveless (Andrey Zvyagintsev, 2017)


Non è esattamente un incentivo al turismo l'ultimo film del regista Andrey Zvyagintsev, che rappresenterà la Russia nella categoria Miglior Film Straniero alla prossima edizione degli Oscar. L'immagine che ne viene fuori è quella di un Paese cupo, inospitale, abbandonato a se stesso, apparentemente avviato al progresso ma fondamentalmente immobile come un podista che si affanni su un tapis roulant. Nemmeno la periferia di Varsavia degli anni Ottanta in cui Kieślowski ambientò il suo Decalogo trasmetteva un tale senso di desolazione: lì, per lo meno, ogni tanto un piccione si posava su un davanzale davanti agli occhi meravigliati di un bambino, un'ape si smarriva nel residuo zuccherino di un bicchiere, e gli esseri umani sembravano ancora accorgersi l'uno dell'esistenza dell'altro, anche se soltanto per brevi istanti consumati sul pianerottolo di casa o nell'ascensore di un palazzone fatiscente. La periferia di Mosca di Zvyagintsev, invece, non lascia scampo: non un bar, un negozio, un cinema, un qualunque indizio di una vita al di là della mera sopravvivenza. "Qua vicino stanno costruendo una chiesa", dice ad un certo punto la protagonista mentre sta mostrando il proprio appartamento a dei potenziali acquirenti, come se un'altra colata di cemento in mezzo a un deserto di neve potesse fare la differenza.

Le vicende al centro di Loveless non sono meno tristi dei luoghi che vi fanno da sfondo. Quando il piccolo Alyosha torna a casa da scuola non trova una famiglia affettuosa ad attenderlo, ma una coppia di genitori sull'orlo della separazione accomunati ormai da un unico desiderio, quello di vendere l'alloggio il prima possibile e mandare il figlio in collegio: proiettati verso l'inizio di una nuova vita al fianco dei rispettivi partner, nessuno dei due è disposto a portare con sé l'ingombrante eredità vivente di quel matrimonio infelice. Alyosha non ha amici, o almeno questo è quello che piace credere ai suoi genitori; la mattina, mentre lo guarda ingurgitare i suoi cereali con aria assente, la madre sembra rimproverarlo per il fatto stesso di trovarsi lì, a opprimerla con il peso della sua esistenza. Spesso Alyosha si trascina in silenzio per i viottoli solitari che costeggiano il fiume gelato; non dice mai una parola, ma il suo sguardo è quello di una persona che sa di essere venuta al mondo per sbaglio. Vorremo sapere di più su di lui, capire come riesce a sopportare tutto questo, ma non facciamo in tempo, perché la notte seguente a quella in cui i suoi genitori decidono del suo destino, Alyosha scompare.

(presenti spoiler)

Inizialmente si pensa ad una fuga estemporanea, ma ogni tentativo di rintracciarlo presso parenti e compagni di scuola si rivela infruttuoso. La polizia dal canto suo spiega ai genitori senza tanti giri di parole che la scomparsa del bambino non rientra nelle loro priorità, e suggerisce di rivolgersi ad un'organizzazione di volontari specializzati in ricerche di questo tipo. Vengono battuti i boschi ed esaminati i video di sorveglianza, viene coinvolta la scuola e tappezzata la città di manifesti, ma senza risultato. Nel frattempo la vita continua, l'appartamento viene venduto, nuove famiglie si formano. Alyosha è scomparso, ma nessuno sembra sentirne davvero la mancanza. Come ne L'avventura di Antonioni, c'è un vuoto immenso di cui nessuno si accorge o finge di non accorgersi, un'assenza che si fa sempre più viva e drammatica con il trascorrere delle ore, dei giorni, e infine dei mesi. Finché di Alyosha non resta che qualche manifesto sbiadito alla fermata dell'autobus e un nastro svolazzante impigliato fra i rami di un albero.

Ci sono storie che non potrebbero esistere senza le persone che le interpretano; in Loveless invece sono principalmente i luoghi a raccontare: la storia di Alyosha non è immaginabile senza la spessa coltre di neve che ricopre ogni cosa, i grattacieli anonimi che deturpano l'orizzonte, i reparti di ospedale affollati di orfani senzatetto, le stazioni di polizia dove cinici funzionari dichiarano la propria inutilità delegando le loro mansioni alla buona volontà dei privati cittadini. Perfino l'abitazione della nonna di Alyosha, persa da qualche parte nella campagna fuori Mosca, racconta una storia atroce di abbandono e solitudine che si perpetua come un morbo di generazione in generazione. Ma il pezzo più importante della storia lo raccontano, in perfetto silenzio, gli alberi lugubri che accarezzano la superficie del fiume con i loro rami rinsecchiti, ed ecco che quella serie di istantanee paesaggistiche a inizio film diventa, a posteriori, una potente anticipazione di eventi futuri; ciò che appariva come un innocuo quadretto naturalistico si trasforma in un disperato grido d'accusa scagliato contro l'indifferenza della famiglia e delle istituzioni. Come lo spettro senza pace del funzionario Bašmačkin nel racconto "Il cappotto" di Gogol, il fantasma di Alyosha si aggira ancora per quelle lande deserte in cerca di un'impossibile giustizia.


Si nasce per errore nella Russia di Zvyagintsev, nessuno è frutto dell'amore, anzi ciascuno deve chiedere scusa per il proprio stare al mondo. L'affetto tra padri e figli può esistere soltanto a prezzo della distanza, e le madri sentono il dovere di mettere in guardia le figlie dalle infatuazioni passeggere degli uomini, ma senza troppa convinzione, perché hanno sperimentato sulla propria pelle quanto sia inutile opporsi ai meccanismi millenari che assicurano la sopravvivenza della specie. I genitori di Alyosha sembrano anestetizzati, incapaci di preoccuparsi sinceramente per la sorte del figlio, ancor meno di assumersi delle responsabilità; soltanto nella cella oscura di un obitorio, davanti al cadavere orrendamente sfigurato di un ragazzino che potrebbe ma potrebbe anche non essere il loro figlio, essi diventano, per la prima e l'ultima volta, i genitori di Alyosha.

La macchina da presa non si arrende al degrado, ma si impegna a ricercare in ogni situazione l'inquadratura migliore per inchiodare i personaggi al loro ambiente, la simmetria perfetta per catturare la frenesia delle perlustrazioni, il movimento più adatto a restituire la voluttà della madre di Alyosha tra le braccia del suo amante. E mentre Zvyagintsev ci conduce per i luoghi di un'infanzia negata alla ricerca di un bambino che forse fa più comodo da morto che da vivo, gradualmente cominciamo a intuire il perché della sua scomparsa, e di quello che sembra essere l'inevitabile epilogo di questa storia: ogni vuoto che si spalanca davanti agli occhi impotenti dei volontari è un abisso di solitudine nel quale Alyosha deve essersi perduto infinite volte, alla disperata ricerca di un senso che a casa non poteva trovare. Giunta sulla sponda del fiume, la squadra interrompe le ricerche: davanti all'abisso più profondo anche la speranza retrocede.

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