mercoledì 30 ottobre 2019

Joker (Todd Phillips 2019)


Riuscire a formulare un giudizio sereno e spassionato su un film come Joker non è cosa semplice. Da una parte c'è il film come oggetto puramente cinematografico, come prodotto creativo di cui possiamo evidenziare pregi e difetti, mettere in luce struttura e tematiche. Dall'altra c'è il film come gigantesco evento collettivo che straborda gli argini dello schermo per riversarsi nei canali social, nel dibattito culturale contemporaneo e perfino nelle piazze, se pensiamo che la maschera del Joker è diventata persino uno dei simboli delle recenti proteste in Libano. Entrambi questi aspetti sono imprescindibili.

Il trionfo a Venezia deve aver fomentato non poco l'inedita polarizzazione di reazioni che Joker ha scatenato in egual misura in pubblico e critica. Perfino i detrattori sembrano non essere d'accordo fra loro: alcuni lo stroncano in quanto psicologicamente superficiale, altri ne denunciano la vacuità delle istanze politiche, mentre i puristi dei cosiddetti cinecomic si indignano per l'eccessiva disinvoltura con cui Todd Phillips avrebbe affrontato la storia in parte già codificata dell'arcirivale di Batman. Quanto agli estimatori, non è chiaro se il punto di forza di Joker risieda nell'inedita profondità di un personaggio che nella letteratura non supera in spessore la carta da gioco da cui trae il nome, nell'originalità della sua iconografia, destinata probabilmente a imprimersi indelebilmente nella coscienza collettiva, o piuttosto nella carica sovversiva con cui si scaglia contro ogni establishment. Comunque la si voglia pensare, è difficile sovrastimare l'importanza di un film capace di provocare una tale varietà di giudizi. E per un volta tanto, anziché costituire un fattore di disturbo, è proprio questa inconciliabilità di visioni a fornire l'indizio più importante per capire Joker. Come direbbe Sorrentino hanno tutti ragione, e il motivo è da ricercare nella natura profondamente ibrida di questo film e nella sua adesione alle convenzioni di almeno sei differenti generi cinematografici che ne fanno un oggetto difficilmente classificabile.

(spoiler)

Il genere più insospettabile (almeno per me, che ho avuto bisogno di una seconda visione per rendermene conto) è probabilmente il musical. Eppure Joker ha molte delle caratteristiche tipiche di questo genere, divenuto negli anni sempre meno popolare fino al ritorno in auge decretato da La La Land. Come nella classica trama à la "star is born" l'arco del protagonista è quello di un astro nato nel fango ma destinato a grandi cose grazie al suo talento, qui identificabile, più che nelle sue doti di intrattenitore con cui pure tenta di cimentarsi, nella sua natura di outsider capace di farsi strada nell'anonimato della vita grazie al perfetto tempismo dei suoi gesti sconsiderati. Quando il suo lurido appartamento diventa il palcoscenico dove improvvisare i suoi sketch, quando coinvolge la madre nei suoi deliri invitandola a danzare nel pallido plenilunio, o ancora quando una scalinata di periferia si trasforma nella scenografia di uno sgangherato balletto, le luci e i colori diventano improvvisamente più caldi, e la colonna sonora irresistibilmente swing: siamo in piena atmosfera musical. In qualche caso le performance casalinghe di Arthur sono perfino accompagnate da scrosci di applausi di un pubblico immaginario, e al termine della sua "gag" televisiva Arthur si rivolge direttamente agli spettatori del Murray Franklin Show e, per estensione, a noi che stiamo guardando Joker. La presenza costante di una platea, dentro o fuori dallo schermo, conferisce ai gesti di Arthur la qualità di una perpetua esibizione.


Più ovvio è il riferimento ai cinecomic, con cui Joker condivide il mondo della storia: la plumbea (ma neanche troppo) Gotham City sull'orlo del tracollo sociale, il dolente manicomio criminale di Arkham, il filo doppio che lega il Joker al futuro Batman, sono tutti elementi ereditati dal fumetto. Phillips è riuscito a confezionare un prequel credibile ma allo stesso tempo originale, e molte delle critiche che Joker si è guadagnato riguardano appunto l'esito di questa operazione. Effettivamente ci si potrebbe limitare tranquillamente a guardare Joker attraverso questa lente, come se si trattasse di un cinecomic un po' atipico ma tutto sommato in linea con la devianza del protagonista. Tuttavia gli autori si sono abilmente cautelati dal rischio di restringere troppo la platea, preferendo lasciare aperte altre interpretazioni che con l'universo DC c'entrano poco o nulla. Infatti, se ad una prima visione avevo trovato superflua la scena dell'assassinio dei genitori del futuro Batman perché mi sembrava un ammiccamento al pubblico nerd impossibile da cogliere per gli altri spettatori, mi sono poi ricreduto quando ho realizzato che i miei compagni di cinema, del tutto digiuni in fatto di personaggi DC (oddio, non che io sia una grande esperto) non avevano trovato affatto fuori luogo quella scena. In effetti viene suggerito che Arthur possa essere il fratellastro disconosciuto di un tale Bruce Wayne figlio del celebre magnate, e nell'economia della storia questo è più che sufficiente a giustificare una vendetta, indipendentemente dalla strada che il bambino deciderà di percorrere.

Ma siamo soltanto al terzo genere cinematografico: il thriller psicologico. Uno stilema tipico di questo genere è la soggettività della narrazione, che se da una parte ci offre una visione parziale di come sono andate le cose, dall'altra ci coinvolge in una caccia agli indizi che dovrebbero condurci alla verità. E quale miglior premessa del disagio mentale del protagonista per giustificare questo tipo di narrazione? Ad esempio, potrebbe venirci il dubbio se Arthur in passato abbia davvero partecipato al Murray Franklin Show, guadagnandosi un affettuoso abbraccio da parte del celebre presentatore. Questa è facile: lo show è registrato in diretta e Mr. Franklin sta alludendo alla recentissima notizia dell'invasione dei ratti in città, quindi non può che trattarsi di delirio. Ma in altre scene, ad esempio il meet cute tra Arthur e la vicina di casa, siamo indotti a credere il contrario, finché a circa due terzi del film un replay di alcune scene ci mette definitivamente in guardia sull'affidabilità del nostro protagonista, ed ecco che il gioco si fa più impegnativo.

L'ambiguità è massima quando Arthur viene in possesso del referto medico di sua madre, da cui apprende alcune verità che fino a quel momento gli erano state taciute. Quella che vediamo è davvero la madre di Arthur da giovane, oppure è il suo modo di tradurre in immagini mentali il contenuto del fascicolo? Non possiamo saperlo con certezza. Non dimentichiamo poi che il film si conclude nel manicomio di Arkham, il che mette in discussione la realtà di molte delle gesta di Arthur, fra tutte l'eclatante comparsa in televisione e conseguente acclamazione della folla. Il finale da operetta in cui un Arthur in fuga viene rincorso dagli infermieri dopo aver ucciso l'assistente sociale, lasciandosi dietro una serie di impronte di sangue più fumettistiche che cinematografiche, è probabilmente di nuovo una sua fantasia, oltre che un invito rivolto allo spettatore a riconsiderare ogni singolo fatto sotto diversa luce. Chi critica la verosimiglianza della storia (come ha fatto a partecipare a un programma televisivo con una pistola in tasca? come è riuscito a diventare l'idolo delle folle con il suo scarso carisma?) deve anche tenere conto di questo aspetto; parafrasando Pirandello, le assurdità della vita non hanno bisogno di parer verosimili, quando sono false. Epurato da ogni fantasia allucinatoria, Joker in fin dei conti potrebbe ridursi alla storia di un serial killer psicopatico aspirante comico che dopo aver fatto fuori tre teppisti, sua madre, la vicina di casa con il figlio piccolo e i genitori del suo (forse) fratellastro, viene finalmente arrestato e rinchiuso in manicomio. Da questa prospettiva, il suo rinchiudersi nel frigorifero potrebbe essere un'allusione alla vasca da bagno colma di cubetti di ghiaccio in Allucinazione perversa, altro film che mette a dura prova le capacità dello spettatore di discernere il vero dal falso.


Ma veniamo al punto su cui tutti, anche i detrattori, sembrano concordare: la performance "da Oscar" di Joaquin Phoenix. Ci spostiamo così nel territorio del character study, dove prende forma la cifra più eminentemente "autoriale" del film; perché è chiaro che alla caratterizzazione di Arthur è stata dedicata grande attenzione. La generica pazzia di cui in passato era ammantato il personaggio qui è il risultato di anni di abusi familiari che man mano emergono dalle nebbie del suo passato, oltre che, in chiave naturalistica, la spia di un diffuso malessere sociale. Il Joker di Phillips è un villain che ci chiede di empatizzare con la sua sofferenza, di capire il percorso che lo ha portato a essere ciò che è. Guardatemi, sembra dirci Arthur, guardate cosa sono diventato per colpa di un sistema incapace di ascoltare il mio malessere, di offrirmi una chance di riscatto, di curare la mia malattia mentale anziché confinarla. Con un tale livello di approfondimento psicologico, nessuno potrà mai sostenere che Joker è un semplice esercizio di stile, anzi, forse è proprio per questo che riesce a far presa anche su chi, come me, è allergico alla parola "supereroe".

Un'altra chiave di lettura, e siamo a cinque, è quella che vede Joker come un film d'exploitation, più concretamente un revenge movie con blandi risvolti politico-sociali (un V per vendetta, per intenderci) più qualche elemento preso in prestito dalla cultura pulp recente (l'omicidio del collega clown è puro Refn). Sì, perché devo confessare che, mentre assisto alla trasformazione di Arthur Fleck da insignificante "macchiolina" (in inglese, fleck) nel tessuto sociale a gigantesca e inarrestabile macchia di sangue, in barba a poliziotti, assistenti sociali inetti e genitori abusanti, una parte di me gioisce a un livello primitivo di quella trasformazione, fregandosene di ogni sfumatura psicologica e approfondimento sociale, e con l'intima soddisfazione di vedere il caos regnare dove poco prima erano ordine e stabilità. È un sentimento liberatorio, atavico, che nulla a che fare con la razionalità e molto con quei bassi istinti di cui il cinema d'exploitation si nutre. A voler trovare un parente prossimo di Joker in questo senso si potrebbe citare L'angelo della vendetta, film del 1981 in cui una suora si trasforma in un'assassina spietata dopo essere stata violentata due volte nel corso di un'unica giornata, un po' come Arthur, che raggiunge il punto di non ritorno dopo aver subito un duplice pestaggio.

Il sesto genere cinematografico cui Joker attinge è forse il più importante, perché rappresenta la completa realizzazione del protagonista dopo una vita passata a cercare inutilmente di trasmettere gioia al prossimo scimmiottando l'ironia altrui. Si tratta ovviamente della commedia, un genere che qui riacquista quella carica rivoluzionaria che è forse la caratteristica più autentica di questa forma d'arte. Chi ride a proposito è rassicurante, tira su il morale, rischiara le giornate; ma chi ride fuori tempo, imbarazzando l'uditorio con barzellette senza senso, magari estraendo una pistola nel momento meno opportuno o rifiutandosi sul più bello di pronunciare la battuta finale, genera disagio e getta scompiglio; per questo il Joker è molto più inquietante di un comune assassino. Ridere davanti a un film di Charlie Chaplin o a uno spettacolo di cabaret è facile, più difficile è trovare il buffo in una testa spappolata da una pallottola, in una città messa a ferro e fuoco dai black bloc, o in una stanza d'ospedale gremita di bambini sotto chemioterapia.

Sei generi, altrettante chiavi di lettura: c'è molta carne al fuoco in questo Joker. Si potrebbe obiettare che nessun film è un'istanza pura di un unico genere, ma è altrettanto vero che in pochi film troviamo una commistione così palese e deliberata. Phillips e i suoi sembrano infatti aver trovato la giusta formula per accontentare indifferentemente sezioni di pubblico molto variegate, dagli appassionati di fumetti ai cinefili, dai patiti del thriller agli amanti del puro intrattenimento. Ciò spiegherebbe anche l'ondata di giudizi insolitamente discordanti che l'uscita del film ha sollevato. «Pensavo che la mia vita fosse una tragedia, ma ora mi rendo conto che è una commedia»: queste parole non sanciscono soltanto una importante presa di coscienza del personaggio Arthur, ma costituiscono anche e soprattutto una esplicita dichiarazione di poetica da parte degli autori, evidentemente molto consapevoli dell'operazione che stanno portando avanti. Ed è proprio questa confusione programmatica di generi, più che il modo in cui i singoli generi vengono sviluppati, a fare del Joker di Phillips un instant classic del cinema contemporaneo.

2 commenti:

  1. Non ho mai commentato in questa sede, ma se voglio un'opinione sensata, ragionata e articolata su un film qualunque la vengo a cercare qui. Soprattutto quando c'è diversità di pareri. Resta un film in un modo o nell'altro unico nel suo genere, e questa già è una caratteristica preziosa in un panorama produttivo in genere teso all'unificazione dello stile, dei contenuti e dell'estetica. Detto ciò, secondo me quello che me lo ha reso un po' indigesto è stata la tendenza un po' fastidiosa a "lanciare il sasso e nascondere la mano", creare insoddisfazioni così generiche e sfocate che chiunque ci si possa identificare, con un attenzione precisa a non compromettersi mai del tutto. Questo Joker alla fine uccide "solo chi se lo merita", ci viene mostrato come risparmia chi lo ha trattato bene e come il suo codice morale sia ben fermo. Ne l'angelo della vendetta, citato giustamente qui sopra, nonostante le premesse da exploitation, alla fine la "quête" di vendetta della protagonista colpiva tutti, colpevoli e innocenti, in maniera terribilmente più realistica nonostante le premesse, e venivamo messi di fronte ai pericoli delle nostre fantasie di rivalsa e le contraddizioni del nostro sistema di identificazione. Lo stesso si può dire di Taxi Driver e Re per una notte, ma quei film sono stati citati allo sfinimento in merito a questo film. Alla fine in questo Joker viene a mancare la parte del confronto, o almeno così l'ho percepito a una prima visione. E se la cosa diventa problematica, rimane sempre la scappatoia facile del "vediamo la vicenda dal suo punto di vista". E per quanto sia sempre discutibile ed ingiusto giudicare un film per quello che poteva essere ignorando quello che è effettivamente, un po' di rammarico me lo lascia, pur riconoscendogli i suoi meriti effettivi. Scusa la prolissità, rinnovo i complimenti per un blog così eloquente ed originale nei punti di vista e nelle opinioni.

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    1. Ciao Enrico. Sono d'accordo con te su molti punti, in effetti si tratta di un film con un messaggio sufficientemente generico da consentire a chiunque in qualche misura di immedesimarsi. È una rabbia amorfa, priva di una direzione precisa, molto attenta a non schierarsi troppo, come giustamente fai notare. Eppure restano molti angoli bui in questo personaggio. Checché ne dica Phillips, nel film viene suggerito che Joker possa aver ucciso l'incolpevole vicina di casa, e lo dimostra il fatto che molti spettatori hanno effettivamente dato questa interpretazione. Fortunatamente i film non si limitano a comunicare unicamente ciò che era nelle intenzioni dei loro autori.

      Dei due film di Scorsese copiosamente citati in relazione al Joker, uno l'ho visto con disattenzione molto tempo fa ed è come se non l'avessi visto, e l'altro non lo conosco affatto, quindi non ho colto i riferimenti. Ho pensato più che altro al film di Ferrara e mi fa piacere che non sia soltanto una mia illazione. Ti confesso però che in generale trovo questa caccia alla citazione nascosta (incoraggiata sicuramente dagli autori stessi, vedi l'ultimo Tarantino) poco appassionante e un po' sterile, specialmente quando è tesa soltanto a rinforzare la nostra convinzione di essere dei buoni "cinefili". Ben venga invece quando aiuta a illuminare significati latenti di un film, come nel tuo caso. Mi è piaciuta molto la tua considerazione sui "pericoli delle nostre fantasie di rivalsa e le contraddizioni del nostro sistema di identificazione": difficile sintetizzare meglio la distanza tra questi due film. È proprio così, occorre diffidare dei film che offrono troppo facili occasioni di identificazione.

      Non so come tu sia approdato a questo piccolo blog, ma ti ringrazio tantissimo per tutte le volte che sei passato di qua e ancora vorrai passare. Sperando che la prossima rece non si faccia attendere troppo... A presto

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