sabato 18 febbraio 2017

Animali notturni (Tom Ford 2016)


La saggezza comune vuole che ogni opera d'arte conservi le tracce del suo autore, rivelandone interessi, debolezze, ossessioni. Non si può scrivere un libro, comporre una canzone, dipingere un quadro senza parlare in qualche misura di se stessi. Vale lo stesso per i film? La domanda è lecita, soprattutto quando un film è il prodotto di talenti diversi ed eterogenei come nel caso delle grandi produzioni: quando sceneggiatura, fotografia, montaggio, scelta del cast, interpretazione, scenografia sono in mano a persone diverse, è più difficile attribuire il risultato finale ad un'unica volontà, stabilire se esso rispecchi o meno una visione artistica distintiva, unica, inconfondibile; in altre parole, è più difficile individuare l'autore dell'opera. E nel caso di Animali notturni questa difficoltà è massima, perché del regista e sceneggiatore Tom Ford, già noto per il suo precedente A single man, nasconde non meno di quanto riveli.

Susan, gallerista e collezionista d'arte di successo, sta attraversando un periodo di profonda crisi con il marito Walker, un affascinante e pragmatico uomo d'affari con il quale condivide una sfarzosa dimora arredata nei minimi dettagli e costellata di opere d'arte. "Condivide" è la parola giusta, dal momento che i due coniugi raramente occupano la stessa stanza, e quando questo capita la conversazione si arena ben presto in un deserto di incomprensione e freddezza. La macchina da presa si adegua a questo clima di tensione isolando Susan in un rettangolo di solitudine che il marito si guarda bene dal valicare, preso com'è dai suoi viaggi d'affari che poi forse tanto d'affari non sono. Quando però le viene recapitata la bozza di un romanzo dedicatole dal suo ex marito Edward, le si spalanca davanti l'abisso di come avrebbe potuto essere la sua vita se in un momento cruciale non avesse barattato la creatività ingenua ma autentica di Edward con la rassicurante solidità priva di slanci che le offriva Walker.

Le notti insonni che Susan trascorre immersa nella lettura del romanzo dànno vita ad una storia nella storia dove si racconta di una famiglia assalita da una banda di delinquenti di strada durante un viaggio notturno nel cuore del Texas. Moglie e figlia vengono rapite davanti agli occhi impotenti di Tony, fragile padre di famiglia che nell'immaginario di Susan assume le sembianze dell'ex marito. Mentre seguiamo con apprensione le ricerche condotte da Bobby, un poliziotto locale che prende a cuore la vicenda di Tony più di quanto gli imponga la sua deontologia professionale, diventa sempre più difficile stabilire in che misura la trama del libro abbia una relazione con il passato comune di Susan e dell'ex marito: il libro è un prodotto dell'immaginazione di Edward, ma le immagini che vediamo sono generate dalla fantasia di Susan, che reinterpreta il materiale secondo la sua sensibilità e i suoi ricordi. Il tutto è complicato da una serie di flashback che ci riportano agli albori della loro relazione, che potrebbero ma potrebbero anche non essere filtrati attraverso la lente smerigliata della mente della protagonista. L'unica cosa certa è che il manoscritto ha il potere di risvegliare ricordi intorpiditi e vecchi rimorsi, mettendo Susan di fronte alla possibilità di aver mandato all'aria una storia d'amore irripetibile sotto l'impulso delle pressioni materne e della paura.

Il grande assente di tutta la vicenda è proprio Edward. Che cosa l'ha spinto a 19 anni dalla separazione a ristabilire un contatto con la sua ex moglie proprio attraverso quell'arte che all'epoca li aveva allontanati? Si tratta di un modo per liberarsi definitivamente dei demoni che lo attanagliano, oppure con il suo romanzo spera di dimostrare a Susan che è cambiato, che costruire una famiglia e allo stesso tempo dare spazio alle proprie ambizioni artistiche è possibile, che nonostante le incomprensioni, le ferite, il tempo trascorso, si può ricominciare tutto daccapo? La risposta non può che trovarsi tra le pagine del romanzo, sepolta dietro una storia di inimmaginabile violenza che fa corto circuito con il vissuto di Susan in modi che solo a lei è dato comprendere fino in fondo.

Noi spettatori in effetti abbiamo una visione molto più limitata. La debolezza di Edward sembra essere il filo conduttore che unisce la storia di Susan e la trama del romanzo, ma non sappiamo se questo suo tratto caratteriale in passato gli abbia impedito di reagire a situazioni di grave pericolo per la sua famiglia. Qualcuno potrebbe affermare che il bello della storia sta proprio nei suoi angoli bui, nella sua capacità di coinvolgerci pur lasciandoci all'oscuro di dettagli fondamentali. Per me non ha funzionato: mi sono ritrovato a seguire due storie parallele solo vagamente relazionate l'una con l'altra, e ho finito per perdere interesse per entrambe. Mi chiedo se non sarebbe stato meglio lavorare per addizione, approfondendo il passato comune di Susan ed Edward; forse così avremmo empatizzato di più con il suo dolore. Invece vibriamo, noi e lei, su due lunghezze d'onda diverse, come due strumenti non accordati.

Anche lo stile mi è sembrato piuttosto disomogeneo. Le prime immagini del film promettono una regia spiazzante, tagliente, aggressiva: difficile dimenticare la danza sgraziata delle majorette obese, resa ancora più grottesca da un montaggio che sovrappone a capriccio i ventri deturpati dalle cicatrici della liposuzione con i volti contratti dalle smorfie di piacere. Così come disorientano i repentini cambi di setting: all'interno della galleria d'arte la macchina da presa si muove con nervose carrellate laterali, come se avvertisse il disagio crescente di Susan, sempre più disaffezionata all'ambiente delle installazioni d'arte e dei vernissage - ed ecco che senza nessun preavviso ci ritroviamo a decine di metri d'altezza a contemplare l'intricato snodo autostradale in cui si inabissa l'automobile della protagonista, prima di riapprodare all'agiatezza sonnacchiosa e sterile della sua casa.

Ma è una promessa non mantenuta: Ford abbandona ben presto questo personalissimo stile, preferendo una regia più misurata, classica, anonima: la scena dell'aggressione sulla statale texana, nodo cruciale del film, è molto poco dinamica, con una sovrabbondanza di primi piani sui volti terrorizzati dei protagonisti (probabilmente girati in studio) e scarsissima enfasi sull'azione. Di qui in avanti non ci sono più stacchi improvvisi, la cinepresa smette di fare i capricci, tutto è lindo, senza sbavature, perfino la morte obbedisce a canoni di simmetria e bellezza. Ford fa bene il suo mestiere, ma abbandona l'estro iniziale e finisce per annoiare, sul piano estetico come su quello narrativo. Anche noi, come Susan, abbiamo ricevuto in dono una storia; e proprio come lei, restiamo inebetiti a chiederci che diavolo significhi.

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