venerdì 10 febbraio 2017

Lavender (Ed Gass-Donnelly 2016)


Lavender è convinto di essere il primo horror nella storia del cinema. Di conseguenza si premura di spiegarci ogni cosa più e più volte, sottolineando ogni ovvio simbolismo e annunciando con grandi fanfare sviluppi che noi spettatori avevamo previsto ben prima che lo sceneggiatore li mettesse su carta. In effetti non è un grande spasso.

Nel 1985, in una casa immersa nei campi di granoturco da qualche parte in Canada, una famiglia viene sterminata. L'unica superstite è la piccola Jane, di circa otto anni, che viene ritrovata con in mano un rasoio insanguinato accanto ai corpi martoriati dei genitori e della sorella Suzie.

Balzo nel 2010, Jane vive in città con il marito e la figlia. Non ricorda nulla della sua infanzia né del massacro che l'ha resa orfana, e neppure è interessata a indagare. L'unico legame con il passato consiste in una fascinazione ossessiva per le vecchie case abbandonate, davanti alle quali cade occasionalmente in una specie di trance, specialmente se in zona ci sono dei campi di granoturco, guarda un po'.

Sicuramente Jane continuerà a vivere nell'oblio come ha fatto negli ultimi 25 anni, non c'è motivo di credere il contrario... e invece no, comincia a ricevere dei regali anonimi che la riportano con la memoria alla tragedia della sua infanzia: una pallina rossa, delle pedine da jacks, delle piccole chiavi, una foto dell'ottobre 1985 che la ritrae con la sua famiglia. Probabilmente tra questi disinteressati omaggi e quella tragedia non c'è alcuna relazione, ma ad ogni buon conto conviene tenere gli occhi aperti.

Perché adesso agli attacchi di narcolessia si aggiungono strane visioni di una bambina che invita Jane a tornare nella vecchia casa di campagna? È tutto così incomprensibile. Una di queste visioni è così potente che Jane ha un incidente d'auto, per fortuna nulla di grave. Da una lastra al cranio però emerge una vecchia frattura, grande come un solco d'aratro, risalente all'infanzia. Non vorrei pensar male, ma non se la sarà mica procurata... no, dai. Ma il consiglio del medico è ancora più assurdo: le farebbe bene, dice, tornare nella sua casa di campagna, per curare le nuove ferite insieme a quelle vecchie. Ah ah ah!! Come no, stai fresco che Jane torna in mezzo ai campi di granoturco!

Non ci crederete mai: Jane ha deciso di seguire il consiglio del medico! Anche il marito sembra d'accordo, possibile? D'altra parte forse noi avremmo fatto lo stesso, chi può saperlo. Ad ogni modo eccoci nella vecchia casa di campagna. A quanto pare c'è anche uno zio, fratello del padre defunto, che vive ancora nei paraggi, l'ideale per una bella terapia familiare. Sicuramente non c'è contesto migliore per Jane per rimettersi in sesto, ma... che cosa c'è adesso? Porte che sbattono, carillon che cominciano a suonare, e Jane che senza motivo continua a ripetere una misteriosa filastrocca... pare abbia a che fare con la lavanda. Ah, ho capito, serve a profumare gli scheletri nell'armadio, ah ah ah!!! No, avete ragione, non dovrei scherzare su un argomento così serio. Dopotutto Jane sta affrontando le sue paure più recondite, è importante starle vicino in questa delicata fase. È solo che non capisco perché sia sempre così... catatonica. Fin dall'inizio del film ha sempre avuto la stessa espressione. Ma non voglio giudicarla, sta attraversando un brutto momento.

Jane è davvero sfortunata e soffre molto, poverina. Ma va detto che ci mette anche del suo. Per esempio, se avessi paura del mio passato, io non entrerei in un negozio di antichità poco distante dalla ex casa dei miei genitori, io, perché potrebbe capitarmi di trovare, che so, un vecchio giornale con la notizia del massacro, e la cosa non mi farebbe affatto piacere. E neppure andrei a infilarmi in un labirinto di balle di paglia, perché poi rischierei di fare dei brutti incontri e di non trovare più l'uscita. A voler pensar male, si direbbe che Jane lo faccia apposta a cacciarsi in certe situazioni. Fortuna che la paglia con una manata la butti giù.

Fossi in lei me ne tornerei in città di corsa, ecco cosa! Peccato che il marito non si accorga di nulla, e la figlia non trovi niente di meglio da fare che andarsi a infrattare nel granoturco, bell'aiuto davvero. Jane, Jane! Stai tirando troppo la corda, scappa via da quella casa! Ma... cosa fa adesso? Da non credere: è entrata nella stanza del massacro e si è infilata sotto il letto cantando quella maledetta filastrocca! Ma ecco che entra qualcuno con passo furtivo... quelli sono i piedi dell'assassino!!! Mio dio Jane, perché l'hai fatto, dimmi perché?



Ok, ora cerco di uscire dalla mia trance e raccontare qualcosa di sensato sul film.

Il regista Ed Gass-Donnelly ed il suo cosceneggiatore Colin Frizzell fanno man bassa di idee prese direttamente da Mulholland Drive e ne fanno scempio. Ad esempio, non avendo memoria dei suoi genitori, Jane ne ricostruisce l'identikit ispirandosi a facce note: la venditrice di cianfrusaglie, il terapeuta... Lo stesso si può dire per l'amnesia, l'incidente stradale, chiavi e scatole come metafora dell'affiorare della memoria etc., tutti motivi esplorati da David Lynch con ben altra sensibilità e spessore. L'immagine di Jane che scioglie il nastro rosso che avvolge le reliquie del suo passato è il massimo del simbolismo che possiamo aspettarci in Lavender.

Il luogo del delitto, una casa indipendente circondata da campi di granoturco, viene presentato con il bullet time, una tecnica resa popolare da Matrix che simula il punto di vista di un osservatore libero di muoversi all'interno di una scena "congelata" nel tempo o comunque rallentata. L'unico dettaglio in movimento è rappresentato dagli occhi di Jane bambina, idea che poteva non essere male, se non fosse che la scena si protrae per un tempo interminabile, soffermandosi ad oltranza sulla pallina rossa a mezz'aria, le facce basite dei poliziotti, la pozzanghera di sangue, eccetera. Sembra la demo di un videogioco di arti marziali, senza arti marziali.

Interessante rilevare che il cinema contemporaneo sta assorbendo le riprese da drone, a buon mercato e relativamente semplici da effettuare. Qui troviamo per esempio una ripresa aerea a circa cinquanta metri dal suolo, a picco sull'auto di Jane. Sicuramente è un mezzo con grandi potenzialità, da cui specialmente il cinema indipendente può trarre beneficio (vedi ad esempio Tangerine).

La sceneggiatura purtroppo è un'accozzaglia interminabile di cliché e situazioni trite. Particolarmente molesti sono i risvegli di Jane dalla trance, accompagnati dallo stupore del marito o della figlia che puntualmente non capiscono la situazione, nonostante Jane soffra di narcolessia più o meno da tutta la vita. Per non parlare dei pacchi anonimi, che vengono recapitati seguendo sempre lo stesso prevedibile iter: trillo di campanello, rinvenimento del pacco sullo zerbino, misteriosa sparizione del recapitatore. Al quarto pacco fantasticavo su un incendio in sala proiezione.

È sconcertante la sovrabbondanza di dettagli inutili e involontariamente buffi, come quando lo zio racconta a Jane che il padre era un ballerino provetto, informazione fuori contesto che rimanda comicamente alle ballerine in tutù che roteano nel carillon. Sopravvissuta alle forbici troppo clementi del montatore è anche la scena, affatto suggestiva e per nulla funzionale alla storia, in cui Jane accarezza una cornice contenente una farfalla papilio antenor, ma può darsi che in contemporanea il montatore stesse lavorando a un documentario sul Madagascar, è un attimo confondersi. Quanto alla lavanda, il film avrebbe potuto benissimo intitolarsi Passiflora senza perdere un briciolo della sua pregnanza, previo adattamento della filastrocca.

Parlando di scene involontariamente buffe, impossibile non menzionare la disperata fuga di Jane nel sopracitato labirinto di paglia, in virtù della quale assegno volentieri a Lavender il Gran Premio del Granturco Xavier Dolan®. Impagabile la reazione indispettita del fattore quando Jane si mette in salvo dal mortale viluppo paglierino, abbattendo una parete di balle di fieno: - Hey, my maze! Risibile anche il finale, che non mi sognerei mai di spoilerare; lasciatemi solo dire che potrebbe intitolarsi "tomba libera tutti". Ma la scena più succulenta, un dialogo pieno di sottintesi tra Jane e il marito, l'ho lasciata per ultima:

Marito: - Almeno te lo ricordi che ho un c@§§o enorme?
Jane: - Davvero?!?

...dopodiché si passa a tutt'altro.

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