lunedì 14 agosto 2017

Il tesoro (Corneliu Porumboiu 2015)


Si può ancora fare un film incentrato sulla ricerca di un tesoro, inteso come un forziere sepolto pieno di gioielli e pietre preziose, senza dover necessariamente ricorrere al passato remoto? Corneliu Porumboiu, classe 1975, uno dei registi romeni più conosciuti e apprezzati, ci dimostra che si può fare, rispolverando uno degli archetipi più fortunati della letteratura d'avventura e attualizzandolo alla realtà romena contemporanea con risultati esilaranti. È una storia lineare e semplicissima, ma attraverso l'intreccio fiabesco si può intravvedere la Romania di oggi, con le sue contraddizioni e gli ingombranti retaggi di un regime che, a distanza di anni dal tracollo, ancora ingabbia e stritola la libera iniziativa individuale.

Costi è un giovane padre di famiglia di Bucarest che con il suo stipendio da impiegato in un ufficio di geometri assicura una vita modesta ma decorosa alla moglie e al figlio in età scolare. Un giorno riceve una visita del suo vicino di casa, Adrian, in bolletta per aver contratto un mutuo sulla casa che ora non è più in grado di pagare. Adrian, questo il motivo della visita, vorrebbe da Costi un prestito di 800 euro per l'affitto di un metal detector con cui scandagliare la tenuta di famiglia alla ricerca di un fantomatico tesoro che il nonno avrebbe sepolto in giardino prima della guerra. Costi, inizialmente riluttante a finanziare l'insolita impresa, non da ultimo perché cronicamente a corto di liquidi, finisce per entusiasmarsi come un bambino all'idea di dare una svolta alla propria vita con il minimo sforzo, e magari apparire come un eroe agli occhi della sua famiglia. Così concorda con Adrian di procurare in un modo o nell'altro il denaro necessario all'affitto del detector per la durata di un weekend, a patto di spartire equamente il malloppo.


C'è però un piccolo intoppo. La legge romena, in un'ottica eminentemente statalista, prescrive la confisca del 70% dei beni rinvenuti che siano ritenuti storicamente rilevanti, ancorché giacciano in un terreno privato, e come si può ben immaginare i criteri per stabilire la rilevanza storica di un reperto sono piuttosto laschi. Le banconote fuori corso, ad esempio, rientrano a pieno titolo nella categoria, e a nulla servirebbe occultare alle autorità il ritrovamento visto che non si potrebbe poi procedere a cambiarle in moneta corrente presso la Banca dello Stato. D'altra parte, anche se il tesoro consistesse in un mucchio di monete d'oro, più semplici da rivendere, l'omessa denuncia non sembra un'opzione consigliabile visto che è punita con diversi anni di carcere. Ma Costi e Adrian sono troppo presi dalla febbre dell'oro per farsi scoraggiare da considerazioni di buon senso: vedranno il da farsi cammin facendo. Li accompagna il vice impresario della ditta cercametalli, un uomo baffuto alquanto permaloso che mette apparecchiature ed esperienza a disposizione dei due improvvisati avventurieri.

L'entusiasmo fanciullesco di Costi deve anche scontrarsi con le perplessità della moglie, giustamente contrariata all'idea di dover chiedere a sua volta un prestito all'anziano padre per sovvenzionare un progetto fumoso che sembra fatto della stessa sostanza di cui sono fatte le fiabe di Robin Hood che Costi legge al figlio prima di andare a dormire. Ma a volte anche gli adulti credono più facilmente a una favola che alla verità, e sarà proprio una buffa storia quella che Costi racconterà al suo capo per spiegare un'assenza ingiustificata dal posto di lavoro. Con i suoi stratagemmi puerili, il suo nascondersi dietro un dito di fronte all'onnisciente perspicacia della moglie e la noncuranza di ostacoli che farebbero desistere il più tenace degli esploratori, il personaggio di Costi irradia un ottimismo ingenuo che suscita allo stesso tempo riso, tenerezza ma anche la più profonda stima; diventerà, nel corso di questo breve viaggio, il nostro eroe fragile.

Porumboiu racconta tutto questo con un rigore formale che fa emergere ancora più vividamente la straordinaria umanità dei protagonisti e la cornice grottesca in cui sono tragicamente confinati. La fissità ostinata di certe inquadrature, all'interno delle quali le persone disegnano scarne geometrie, fa pensare ai migliori lavori dello svedese Roy Andersson, mentre la recitazione misurata (quasi tutti gli attori sono non professionisti) ricorda l'imperturbabilità irresistibile di Buster Keaton: proprio come nelle commedie keatoniane, si ride molto di più in sala che sullo schermo. Il finale non fa che sancire l'assoluta superiorità della fantasia sulla bieca realtà, e come in ogni fiaba che si rispetti, la morale non si farà attendere.

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