sabato 9 dicembre 2017

The Signal (William Eubank, 2014)


Vorrei che The Signal fosse tutto come la sua prima mezz'ora, un thriller fantascientifico teso, avvincente, emozionante, originale, onesto. Vorrei che il mistero non fosse mai stato svelato, che il regista Eubank si fosse affidato un po' più all'immaginazione e un po' meno alla logica, come il suo protagonista. Tutto il contrario: man mano che la fine si avvicina, tutti i nodi si sciolgono, le equazioni si risolvono, e i misteri evaporano come incubi all'alba. Resta il ricordo di quei primi, intensissimi trenta minuti, e la sensazione di un'occasione mancata, una promessa non mantenuta. Si vorrebbe chiedere al regista, signor Eubank, non è che potrebbe ripensarci, azzerare tutto ciò che viene dopo quel fatidico trentesimo minuto, magari immaginare un finale completamente diverso, meno lineare, più sfumato? Niente da fare, l'universo ha infinite biforcazioni ma un'unica direzione, la versione di The Signal in nostro possesso è stata ormai archiviata come quella definitiva.

Tutto ha inizio con un viaggio in automobile dal Massachusetts alla California: Haley, studentessa del MIT, ha deciso di trasferirsi sulla costa ovest per studiare al Caltech. La accompagnano il suo ragazzo Nic e l'amico comune Jonah, anch'essi studenti del prestigioso istituto tecnologico sulla East Coast. Nic, costretto a muoversi con le stampelle a causa di una malattia degenerativa, vede il trasferimento di Haley come un abbandono, e sembra deciso a concludere la relazione; chissà che le poche ore di viaggio che restano non possano essere una buona occasione per parlarsi, capirsi, ritrovare l'entusiasmo di un tempo. Nel frattempo Jonah è sulle tracce di un misterioso hacker che si firma con il nickname NOMAD dal quale riceve criptici messaggi persecutori. Il segnale sembra provenire da un server localizzato nel deserto del Nevada, uno degli stati che i nostri sono obbligati ad attraversare per giungere a destinazione, perché allora non fare una piccola deviazione e andare a verificare di persona l'identità del misterioso NOMAD? È notte fonda quando l'auto si ferma davanti a una catapecchia abbandonata al termine di una strada polverosa. Difficile immaginare che quella possa essere la base operativa di un pirata informatico, eppure la disposizione degli oggetti lascia pensare che qualcuno sia passato di lì non molto tempo prima. Quando capiranno di essere caduti in trappola sarà troppo tardi...


(lievi spoiler di qui in avanti)

A questo punto il film prende una piega totalmente diversa. Risvegliatosi in una sorta di ospedale militare con una strana sequenza numerica tatuata sul braccio, Nic si rende conto poco a poco di essere diventato una cavia da laboratorio nelle mani dell'enigmatico dottor Damon, che farfuglia qualcosa a proposito di forme di vita extraterrestri e sottopone Nic a snervanti interrogatori: da che pianeta proviene? a che specie appartiene? riesce a risolvere semplici quesiti di logica? L'occasione per riunirsi ai suoi amici e tentare una rocambolesca fuga da quella prigione ipertecnologica viene fornita a Nic da uno degli esperimenti cui viene sottoposto, ma il mondo che troverà una volta fuori dall'asettico edificio non sarà esattamente come lo ricordava: è l'inizio di un incubo ancora peggiore in cui l'angoscia ha la forma di un'autostrada che si estende in mezzo al deserto per chilometri e chilometri ma sembra non condurre in nessun luogo.

Se è vero che la prima scena di un film ci insegna come dobbiamo guardarlo, allora la prima scena di The Signal, in cui Nic traccia una linea spezzata con un pennarello sul vetro di una "gru pesca peluche" per spiegare a un bambino come acchiappare il suo pupazzo preferito, è una rappresentazione perfetta del percorso discontinuo che i protagonisti devono compiere prima di approdare a una verità di una banalità sconcertante. Diviso nettamente in due parti che potrebbero tranquillamente appartenere a due film diversi, The Signal appare infatti come un tentativo di conciliare almeno tre generi cinematografici che però non sempre convivono pacificamente: il dramma tardo-adolescenziale incentrato sulla progressione di una malattia (vedi Colpa delle stelle, L'amore che resta e simili), il thriller fantascientifico in forma di rompicapo (Primer, Upstream Color, Donnie Darko) e l'action movie pseudo-esistenzialista à la Matrix, quest'ultimo ben rappresentato dalla scelta di scritturare Laurence Fishburne per la parte del dottor Damon. La parte iniziale è quella in cui si sentono di meno i condizionamenti di genere, e dove la storia fluisce in modo più spontaneo, come le nuvole che sfrecciano fuori dal finestrino. Eubank si concede addirittura una brillante deviazione, o per meglio dire una brusca virata verso il found-footage horror quando Nic e Jonah a notte fonda si introducono con una torcia nella casa in mezzo al deserto alla ricerca del fantomatico NOMAD, scena genuinamente disturbante che non ha nulla da invidiare a The Blair Witch Project e Lake Mungo.


Tuttavia, a partire dal momento in cui i nostri si ritrovano intrappolati nella base militare il mistero assume contorni più definiti e prende la forma di un rebus da risolvere con i pochi elementi a disposizione – un codice numerico, un nome palindromo (dai, non ditemi che non ve ne eravate accorti!), degli esperimenti biologici, un video di sorveglianza, il tutto condito da un pizzico di surrealismo kitsch che difficilmente impressionerà i cultori del genere. È proprio in questa seconda parte che The Signal dimostra di aver interiorizzato la lezione cospirazionista di Matrix: il mondo non è quello che vediamo, tutto quello che sappiamo è falso, e l'infelicità umana non è altro che il frutto di un inganno ordito da esseri molto più potenti di noi e non necessariamente umani allo scopo di sfruttarci e controllarci. Il problema di questa visione è che, una volta ribaltato il vertice e destituito il potere iniquo che a tutto presiede, i problemi fondamentali dell'uomo, quelli su cui buona parte della fantascienza autenticamente "esistenzialista" si è interrogata fin dalle sue origini, rimangono al loro posto, più urgenti e necessari di prima – a meno di non voler considerare soddisfacente, come risposta agli interrogativi intorno all'origine della vita e allo scopo dell'universo, l'esistenza di una progenie di alieni parassiti che succhiano energia dal corpo umano, come nel caso di Matrix. Non resta allora che chiedersi, come il canarino della fiaba, se uscire da una gabbia non significhi semplicemente entrare in un'altra gabbia più grossa.

In effetti, sotto l'etichetta "fantascienza" albergano visioni diametralmente opposte. Da una parte troviamo quei film che contrappongono un mondo reale e uno fasullo, illusorio, simulato, frutto di una malevola cospirazione. Per questi film, l'origine di ogni problema dell'uomo risiede in una causa esterna, materiale e pertanto eliminabile, tipicamente attraverso una presa di coscienza e una rivoluzione. Matrix è l'esempio più lampante, ma in questa categoria infilo senza troppi scrupoli anche They Live di John Carpenter, perché anche se è passato alla storia come un film di denuncia dal contenuto fortemente politico, personalmente l'ho sempre visto come il film d'evasione per eccellenza; postulare, infatti, l'esistenza di un confine che separa nettamente "noi" da "loro" è un modo molto comodo per sollevare lo spettatore da ogni responsabilità e liberarlo dal faticoso esercizio del pensiero critico. (A questo proposito trovo affascinante come la parola "Obey", che nel film di Carpenter dovrebbe rappresentare un incitamento alla trasgressione, abbia dato origine a un florido merchandising.)


All'estremità opposta dello spettro troviamo invece film come 2001: Odissea nello spazio, StalkerLa Jetée, che invece di offrire allo spettatore facili occasioni di identificazione lo mettono di fronte a quegli interrogativi irrispondibili di cui da millenni si occupa la filosofia. In film di questo genere i twist narrativi, ammesso che ce ne siano, non fanno che confondere ulteriormente le idee (sto pensando al meraviglioso, enigmatico "bambino delle stelle" sul quale si chiude il film di Kubrick, ma anche al paradosso spazio-temporale su cui si fonda La Jetée) e l'esplorazione del cosmo non può prescindere dalla conoscenza di se stessi, il che potrebbe spiegare perché, per quanto siano incommensurabili le distanze siderali percorse, origine e destinazione spesso coincidono (si pensi anche al più recente Interstellar). Allo spettatore non è concesso il lusso di spegnere la coscienza, perché la storia, anche se si svolge su un pianeta immaginario o in un irraggiungibile futuro, è proprio di lui che parla. A benpensarci, non c'è nulla di più politico dell'esistenzialismo.

The Signal subisce fin da subito l'attrazione irresistibile dell'ignoto, ma alla fine soccombe al richiamo di quella fantascienza che ai quesiti ultimi preferisce le domande a risposta chiusa, e non si fa scrupolo di barattare il grande mistero con dei piccoli indovinelli senza importanza. L'ultima inquadratura chiarisce molte cose, ma lascia insoddisfatti, come se si trattasse della risposta alla domanda sbagliata: a volte un numero è davvero soltanto un numero.

4 commenti:

  1. grande rece come sempre

    troppe cose, impossibile commentare

    quindi vado su due cazzate

    da me ti parlavo di blair witch project ma ora vedo che l'avevi colto da solo

    e il nome non è palindromo ;)

    (lezione su come trovare ago nel pagliaio)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Cazzo hai assolutamente ragione, una parola che ha due significati diversi se letta nei due versi si chiama bifronte, non palindromo!! Altro che ago, è una trave
      TBWP mi era venuto subito in mente, ma non sapevo che fosse un omaggio esplicito
      Grazie per la rettifica!! (cmq lo lascio così, è bene imparare a convivere con i propri errori)

      Elimina
    2. ci umili con troppa cultura ed eloquenza, sono piccole rivincite ;)

      sì sì, esplicito. Proprio l'immagine che hai messo nel post è il finale di Blair Witch.
      Io ricordo addirittura che i ragazzi del film lo dicano, una volta messisi a ridere per lo scherzo

      ma forse me lo so inventato

      Elimina
    3. Con due post al mese è facile essere eloquenti :)
      TBWP lo vidi...al cinema nel lontano '99 poi più niente, cmq quell'immagine in effetti mi diceva qualcosa

      Elimina