giovedì 17 novembre 2016

Knight of cups (Terrence Malick 2015)


Ero impaziente di vedere questo Knight of cups, sia perché un film di Malick comunque la si metta è sempre rilevante, sia perché ero curioso di vedere se fosse riuscito ad affrancarsi dal fastidiosissimo To the wonder, che all'epoca interpretai come una solenne quanto fiacca scimmiottatura del precedente e forse inarrivabile The tree of life. Quello che mi sono trovato davanti è un film in equilibrio precario tra prevedibilità e novità, ripetizione di forme già viste e sperimentazione di nuovi percorsi, banalità e profondità.

Malick ci racconta la storia di uno sceneggiatore di mezza età (un disorientatissimo Christian Bale) che cerca di lasciarsi alle spalle l'universo mondano in cui ha sempre sguazzato per recuperare una dimensione più autentica dell'esistenza. Reduce da un matrimonio fallito e ora impegnato nell'ennesima relazione che non riesce a far decollare, si sforza di ricomporre l'intricato puzzle della sua vita, che gli appare come una sequenza insensata e caotica di avvenimenti, puntellata da una traballante figura paterna e dalla presenza intermittente di un fratello irrequieto e instabile. In estrema sintesi è questa la trama, eppure è come se non avessimo detto nulla, perché raccontare quello che succede in Knight of cups è un po' come cercare di descrivere una casa di Gaudì parlando dei pilastri che la sorreggono.
In ogni caso, a mio avviso non è la trama a rendere speciale la visione. Dopotutto la figura del protagonista incarna un topos molto comune nel Novecento e trasversale a diverse arti, quello del lupo della steppa straniero a se stesso e al mondo, lacerato da un malessere profondo che lo risveglia dal torpore esistenziale dentro il quale ha vissuto fino a quel momento. Possiamo trovare un recente termine di paragone cinematografico in un film di Sofia Coppola, Somewhere, anch'esso incentrato su un uomo di spettacolo disingannato alla ricerca di un senso che non può prescindere da una ricucitura del tessuto familiare.

Ciò che invece rende speciale la visione è l'assalto ai sensi di cui siamo oggetto: veniamo a un tempo sommersi da un diluvio di immagini potentissime e da un flusso ipnotico di parole che raccontano il mondo interiore dei personaggi, il tutto accompagnato da una mistica playlist che, a ripetizione, propone brani di musica classica di grande potenza evocativa. Spesso le parole pronunciate si mescolano a quelle sussurrate dalla coscienza e le voci della natura si confondono con le note, producendo un'esperienza che poco ha a che fare con la comprensione e moltissimo con la suggestione.

La macchina da presa, contagiata dall'irrequietezza del protagonista, è costantemente alla ricerca di stimoli, sensazioni, rivelazioni di cui va all'inseguimento indisturbata, in pieno deserto come sott'acqua, su un raccordo autostradale come in un letto d'amore. Non registra, piuttosto reagisce: è un essere vivente, protagonista invisibile di questa storia. In quel bellissimo film che è Ex Machina, il creatore di automi Nathan spiega al programmatore Caleb uno dei principi che lo hanno guidato nella costruzione di un robot in tutto e per tutto simile all'uomo: la casualità. Allo stesso modo la cinepresa di Malick, come il pennello di Pollock, segue traiettorie imprevedibili che dipendono a loro volta dai movimenti del soggetto inquadrato, sia esso un bambino su un'altalena o un pellicano stralunato, introducendo così un forte elemento casuale all'interno del film. Il risultato è un'opera che, come le onde del mare mai uguali a se stesse, visivamente si allontana il più possibile dall'iterazione e dalla riproducibilità.

Il disorientamento del protagonista dà poi l'occasione a Malick, per non dire la scusa, di accostare a capriccio immagini molto distanti fra loro, creando tensioni misteriose fra scintillanti piscine e distese di sabbia, voluttuosi nightclub e asettici reparti d'ospedale, orizzonti infiniti e fontane sbreccate invase dalle erbacce. Ogni cosa è degna di essere immortalata dall'obbiettivo iperinclusivo di Malick, senza distinzione tra alto e basso, e senza alcun giudizio morale, anche se il tono salmodico del narratore, pericolosamente in bilico tra predicatore in odore di santità e imbonitore da strapazzo, lascerebbe pensare il contrario. Diceva Sant'Agostino che dio è ovunque o in nessun luogo; se Knight of cups rispecchi l'una o l'altra visione, spetterà a ciascuno decidere.

Personalmente ho qualche riserva sulla fotografia di Emmanuel Lubezki, non tanto in relazione a Knight of cups ma più in generale rispetto al contributo artistico che apporta ad ogni film cui partecipa. La sua marca distintiva, mi sembra, è una combinazione di nitidezza dell'immagine, estrema fluidità di movimento e utilizzo frequente di lenti con breve lunghezza focale (che permettono la messa a fuoco di oggetti anche molto distanti dall'obbiettivo, e allo stesso tempo deformano il soggetto ed esagerano le distanze). Il problema è che questo stile è così distintivo da diventare inconfondibile, rischiando di uniformare film anche molto distanti tra loro come The Revenant e Gravity. Per fare un paragone, si pensi alla carriera di Vilmos Zsigmond, artista molto celebrato dallo stile non immediatamente riconoscibile.

Il pelo nell'uovo. Sopravvissuti alla post-produzione, sulle spalline scure delle giacche e sul dorso dei cappotti stanno in bella mostra sottili capelli, testimoni microscopici dell'universo malickiano.

[spoiler nel paragrafo in in viola]

Un passo nel delirio. Mettendo insieme vari frammenti mi sono fatto l'idea, forse un po' bislacca, che il protagonista e suo fratello si siano resi responsabili in giovane età della morte del terzo fratellino più piccolo, chiudendolo con un lucchetto in un capanno degli attrezzi e appiccando il fuoco. Questi gli elementi che me lo fanno pensare: 1) Bale cammina sulle braci spente di un rogo, 2) i due fratelli accusano il padre di non aver loro impedito di fare qualcosa, anche se non è chiaro che cosa, 3) compare l'immagine di un capanno integro serrato da un lucchetto, 4) l'ex-moglie del protagonista (interpretata da Cate Blanchett) lavora al reparto grandi ustionati di un ospedale.

Per altre ipotesi bislacche potete usare la sezione dei commenti.

2 commenti:

  1. A me è piaciuto molto To The Wonder, riguardo allo spoiler io so che Malick ha perso suo fratello che era un musicista che si è suicidato ahimé perchè non era riuscito a sfondare nella musica.

    Ti faccio i miei complimenti per il blog molto figo!

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    1. Ciao Domenico, ti ringrazio molto.
      In effetti questa nota biografica spiega un po' di cose, non solo in relazione a Knight of cups ma anche The tree of life. Purtroppo mi informo sempre molto poco sulla vita di attori e registi, e questo è male..
      Quanto a To the wonder resta comunque cinema d'eccellenza, ci mancherebbe. Però penso che nel caso di Malick conti molto l'ordine in cui si guardano i film, probabilmente se l'avessi visto prima di The tree of life mi avrebbe colpito di più.
      Ciao!

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