sabato 4 febbraio 2017

Alps (Yorgos Lanthimos 2011)


Ricordo bene il mio primo approccio con il regista greco Yorgos Lanthimos, perché The lobster era uno dei film di cui avevo atteso con più impazienza l'uscita in sala nel 2015. Fu una grande delusione: il grottesco di cui era intriso mi sembrò studiato a tavolino, addomesticato, e totalmente privo della carica disturbante che contraddistingue le opere autenticamente grottesche. L'operazione di Lanthimos consisteva fondamentalmente nel prendere l'insieme di regole che di norma sta alla base dei rapporti tra esseri umani, sostituirlo con un altro codice del tutto assurdo e tuttavia dotato di una sua coerenza interna (nel mondo M ogni persona X ha il dovere sociale di stabilire una relazione con un'altra persona Y entro un tempo massimo t, pena la trasformazione nell'animale K) e sviluppare una storia "classica" sulla base dell'impianto così definito. Su di me non funzionò: non mi riuscì di accettare una premessa così assurda e schematica allo stesso tempo, e finii per estraniarmi fin da subito.

Sulla scia del successo ottenuto da Lanthimos con The lobster, nel periodo natalizio è finalmente approdato nelle sale italiane questo Alps, più di cinque anni dopo la sua presentazione al festival di Venezia del 2011. In effetti capita sempre più spesso che un film giudicato commercialmente troppo rischioso e dunque ignorato dai distributori italiani al momento della sua release internazionale goda di una distribuzione tardiva qualora opere successive dello stesso regista ottengano il favore del pubblico, oppure in concomitanza con altri eventi che ne favoriscano la popolarità. È la sorte toccata al thriller Tom à la ferme di Xavier Dolan, uscito al cinema soltanto dopo il grande successo di critica e botteghino di Mommy. ma anche a Synecdoche, New York di Charlie Kaufman, del lontano 2008, distribuito in seguito alla morte dell'attore principale Philip Seymour Hoffman avvenuta nel 2014.

Fin dalle prime scene di Alps si ha la sensazione che qualcosa sia fuori posto. Un inflessibile insegnante di danza propina ad una sua giovane allieva una coreografia basata sulle note dei Carmina Burana, non ritenendola ancora pronta per danzare un pezzo pop. Lei tenta di protestare, ma di fronte all'inamovibilità del maestro finisce per desistere con un'arrendevolezza sconcertante: «Chiedo scusa, sei il miglior maestro del mondo!» La scena successiva, apparentemente scollegata, si svolge a bordo di un'ambulanza, dove un'infermiera (che diventerà il personaggio principale) sta chiedendo ad una ragazzina in punto di morte quale sia il suo attore preferito: è forse Johnny Depp? o magari Brad Pitt? vista la criticità delle sue condizioni, non potrebbe fornire una risposta con un leggero cenno del capo?

Dal momento che ogni film richiede uno sforzo iniziale per familiarizzare con il suo universo e i personaggi che lo abitano, in prima battuta siamo propensi ad attribuire queste incongruenze ad un nostro difetto di interpretazione. Dopotutto una ballerina priva di carattere non è una cosa tanto strana, e all'infermiera potrebbe mancare mancare qualche venerdì; pertanto proseguiamo nella visione fiduciosi che nel seguito molte delle nostre perplessità verranno sciolte.

In realtà ciò che segue non fa che confonderci ulteriormente. Perché i genitori della ragazzina ormai defunta consentono all'infermiera di prendere il posto della loro figlia, istruendola in modo da rendere il più possibile credibile la sua interpretazione? E quale legame esiste fra la protagonista e un anziano signore che si comporta come fosse suo padre, ma si rivolge a lei in modo innaturale e meccanico? Ma soprattutto, qual è la missione della società carbonara denominata Alps di cui fanno parte l'infermiera, la ballerina e il maestro di danza, la cui occupazione principale sembra essere quella di raccogliere informazioni sulla vita e le abitudini di persone defunte con le quali non avevano alcun rapporto?

Qualunque sia la risposta ai nostri interrogativi, siamo in ottime mani: Lanthimos dà l'idea di sapere esattamente che cosa sta facendo, dove andrà a parare, quale dei piani che compongono la scena debba essere messo a fuoco, quale reazione vuole suscitare nello spettatore. Coerentemente con l'ermeticità della trama, la macchina da presa si mantiene sempre piuttosto in disparte, evitando di commentare le azioni dei personaggi, tranne forse in una breve inquadratura rallentata in cui vediamo l'infermiera camminare per strada in compagnia del suo amante (rallentare è commentare).

La visione di Alps è tanto più piacevole quanto più siamo disposti a indagare le regole che governano il suo strano universo, alla ricerca di un'idea unificante che dia un senso al tutto. Perché per quanto inintelligibile possa sembrare a prima vista il comportamento dei personaggi è molto probabile che alla fin fine la sceneggiatura si possa riassumere in un abstract di poche righe (a proposito, nella sezione in viola trovate un tentativo di interpretazione del film, ovviamente a rischio spoiler). Viceversa, se ciò che ci porta al cinema è un sacrosanto desiderio di intrattenimento e di svago, Alps potrebbe rivelarsi un'esperienza intollerabile.

Sepolta da qualche parte tra l'assurdo e il grottesco troviamo una riflessione sul mestiere dell'attore e sul rapporto tra vita e finzione, ma anche una rappresentazione letterale di alcuni vizi che informano le relazioni tra le persone, tra cui la propensione tipicamente umana a trattare come compartimenti stagni i vari ambiti della vita, e qui non si può non citare nuovamente Synecdoche, New York. Lanthimos ha una sensibilità pirandelliana nel modo in cui rappresenta le maschere che quotidianamente indossiamo, la simulazione che si infiltra anche nelle relazioni più autentiche, i ruoli che ci sforziamo di interpretare per assomigliare a degli esseri umani. Alps mi ha ricordato da una parte un certo cinema austriaco, soprattutto quello di Ulrich Seidl, più anatomopatologo dei comportamenti umani che regista; dall'altra certa letteratura tedesca, in particolare I nani giganti di Gisela Elsner, romanzo pressoché illeggibile dove i dettagli della vita quotidiana perdono qualunque traccia di spontaneità, diventando artificiosa ripetizione di azioni grottesche e svuotate di significato.

Lanthimos è un regista a cui non è facile voler bene. Alps è un film così poco accondiscendente verso lo spettatore medio da risultare esasperante, irritante, persino offensivo, tanto è vero che durante la proiezione ci sono stati diversi walk-outs. Restiamo in attesa di scoprire se proseguirà la serie di film "a chiave" iniziata con Alps e The lobster (possibilmente anche prima, non ho visto i suoi precedenti lavori) oppure se preferirà esplorare soluzioni narrative diverse. Personalmente spero nella seconda.

Il pelo nell'uovo. In un momento di inaspettata spontaneità, un passerotto fa capolino dietro le gambe nervose dell'infermiera, ricordandoci che c'è un mondo là fuori che vive, respira e zampetta.

Abstract. In un mondo dove la gente è disposta a credere a qualunque cosa pur di non accettare il dolore della perdita, e dove la mancanza di un ruolo sociale ben definito equivale alla non-esistenza, un gruppo di persone costituisce un'organizzazione segreta che garantisce ad ogni suo membro l'integrazione sociale a lungo termine assegnandogli molteplici ruoli da interpretare all'interno della comunità. C'è un'unica regola: non è consentito sovrapporre più ruoli, pena l'emarginazione.

2 commenti:

  1. complimenti per la recensione..
    questo film l'ho amato/odiato, ma avevo già visto 2 film del regista quindi ero pronto a tutto..
    uno cosa che però ricordo dopo aver visto Alps è che i giorni successivi la mia mente continuava a tornare li e a porsi domande, si vede che qualcosa il film mi aveva smosso,adoro quando mi succede dopo la visione di un film..

    riguardo ai film precedenti suoi, ti consiglio Dogtooth (Kynodontas), a mio parere il suo film migliore.. mentre ti sconsiglio Kinetta.

    tornando allo stile del regista, ho scoperto che Lanthimos prima di fare cinema è stato regista teatrale (teatro-danza e teatro sperimentale) ed essendo appassionato anche di questa arte ho notato che molti elementi/stile dei suoi film provengono da li...

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    1. Ciao Davide! Grazie mille, davvero. Non sapevo dell'esperienza di Lanthimos come regista teatrale..
      Anche per me è un amore/odio, non mi lascia indifferente ma neppure riesco ad amarlo senza riserve. A tratti lo trovo perfino insopportabile (durante the lobster friggevo in poltrona). Però Kynodontas lo guarderò sicuro, grazie del consiglio!
      Hai ragione, è una bella sensazione quando un film ti smuove qualcosa, indipendentemente da quanto ti è piaciuto, forse è la cosa più bella dell'andare al cinema.
      Ripassa quando vuoi!

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