sabato 11 marzo 2017

Ill Manors (Ben Drew 2012)


Non avevo mai sentito nominare Ben Drew, e neppure mi è venuto in soccorso lo pseudonimo Plan B con cui è conosciuto nel panorama della musica rap. Poco male: d'ora in avanti me lo ricorderò come il regista di uno splendido film, di una violenza inaudita ma anche molto ironico, sulla malavita sgangherata della periferia londinese. Ma Ill Manors è molto più di un film, è un iper-film: la colonna sonora è una collezione di pezzi rap scritti e interpretati dallo stesso regista-musicista che vanno a comporre un brulicante concept album dedicato ai personaggi che si avvicendano sullo schermo.

Siamo a Forest Gate, il quartiere a nord-est di Londra dove il regista è nato e cresciuto, popolato da papponi, prostitute, spacciatori e teppisti di vario genere, tutti in varia misura trascinati in una spirale di degrado cosmico, disumanità, violenza. La mafia almeno ha una sua dignità, un suo codice d'onore, direbbe Leonardo Sciascia, mentre questi piccoli criminali non hanno nessun amor proprio, nessun valore al di fuori del misero vivacchiare alle spalle di chi è troppo debole per opporre resistenza e affrancarsi dalla tossicodipendenza.

Kirby, uno spacciatore di mezza età che molti non esiterebbero a definire un brutto ceffo, è la prova vivente che il carcere come punizione è inutile e controproducente: appena messo piede fuori di prigione riprende tranquillamente l'attività interrotta, riallacciando senza sforzo le relazioni con i clienti affezionati e mettendo fin da subito in chiaro con la concorrenza who's da boss. Ne fa le spese Marcel, pusher di piccolo calibro insediatosi nella zona rimasta vacante, costretto a battere in ritirata in costume adamitico.

Tra i contatti di Kirby ci sono i giovani Ed e Aaron. Il primo è un armadio a due ante dal cranio ben rasato e la mascella imponente, il secondo è piuttosto gracile, con il viso cinto da una barbetta ispida e il capo sormontato da un immancabile cappello a visiera. Ed è impulsivo e scevro da qualsiasi slancio umano, mentre Aaron - forse l'unico vero protagonista di questa storia, il nostro faro nella notte - ha sì una coscienza, è spesso assalito da scrupoli e ripensamenti, ha un buon rapporto con l'assistente sociale che si è presa cura di lui quando ebbe i primi guai con la giustizia, e pur tra contrabbandi e spacci si domanda cosa sia giusto e cosa sbagliato. Poi c'è Jake, un ragazzino di colore alle soglie dell'adolescenza che trova nel gruppo di Marcel (il pusher detronizzato) l'occasione per dimostrare che è un duro, uno che è disposto a gonfiare di pugni il suo migliore amico per guadagnare punti di credibilità agli occhi della gang (una scena che abbiamo visto recentemente anche in Moonlight) e che non esita a torturare selvaggiamente quelli che non stanno alle regole del gioco, a dispetto del candore che la sua età gli conferisce.

In questo microcosmo di abusi e sopraffazione il perdono non esiste, anzi ogni sgarro reclama un'appropriata retribuzione, ed ecco che il banale smarrimento del cellulare "di lavoro" del rissoso Ed innesca una caccia all'uomo che si conclude a casa (se una distesa di materassi coperta di sperma e siringhe usate si può chiamare casa) della prostituta eroinomane Michelle, costretta da Ed e Aaron a elargire prestazioni sessuali nei più sordidi fast-food del quartiere in cambio di poche sterline per ripagare il furto del fantomatico cellulare. E se anche dovesse saltar fuori che Michelle è innocente, che nel giro di poche ore si è passata mezza città per scontare un delitto di cui non era responsabile, poco importa, perché non ha nessuno che la protegga e quindi non costituisce una minaccia per nessuno. Nel frattempo Kirby si dà da fare con due procaci ragazzine incontrate in una tavola calda, Jody e Chanel, alle quali promette un'improbabile carriera da top model qualora accettino di fare un provino nella sua sudicia casa. Finiranno mortalmente invischiate nei maneggi di Kirby e dei suoi soci nel giro di pochi fatali minuti, giusto il tempo di bere alla goccia una vodka senza ghiaccio. Essere donna a Forest Gate è il più triste dei destini.


Come il coro di una tragedia greca, la voce di Plan B commenta la parabola di ogni personaggio aggiungendo dettagli scabrosi a corredo delle immagini già di per se piuttosto crude, e azzardando spiegazioni sociologiche dettate dalla sua esperienza personale. A volte il tono si fa perfino didattico, quasi profetico, come quando nel raccontare la vicenda del quindicenne Jake lamenta l'assenza di "modelli positivi" nella vita dei giovani cresciuti in periferia:

So it makes no difference to the youths that are raised in the system
You don't have age on the side
Or any positive role models in their lives that provide insight
So they ain't going to listen

Il tentativo di trarre un insegnamento morale per le generazioni future è forse per Ben Drew un modo di dare un senso agli orrori di cui dev'essere stato stato testimone in giovane età, e di cui questo film, nonostante la prepotenza grafica e verbale, non può che rappresentare un pallido riflesso.

Arriviamo così a quella che per me è stata la storia emotivamente più coinvolgente, per non dire una mazzata sullo stomaco, quella di Katya, giovane donna immigrata che a seguito di una violenza rimane incinta del proprietario del bordello per cui lavora. Ma il peggio deve ancora venire: i suoi datori di lavoro, poco sensibili alle istanze di genere, non ritengono che la gravidanza sia un motivo sufficiente per sospendere l'attività, anzi, a quanto pare le donne incinte costituiscono una nicchia di mercato molto profittevole. Una storia raccapricciante che sembra destinata alla tragedia come molte altre, e invece il bambino che Katya porta in grembo manda all'aria i piani di molte persone, a partire dal nostro Aaron, che dovrà decidere se occuparsi del neonato abbandonato in metropolitana o se venderlo al miglior offerente. La vista di un pupo con pochi giorni di vita che passa tra le mani di gente abietta è disturbante, ma Ben Drew sa come stemperare la tensione, mescolando il tragico al grottesco e rubandoci un sorriso anche nelle situazioni più cupe, come quando Aaron scopre che il pannolino del bimbo è certamente il posto più sicuro per nascondere i panetti di cocaina dall'occhio indiscreto della polizia, ma non il più igienico.

È questa carica di ironia a rendere sopportabile la visione di Ill Manors, che altrimenti finirebbe per mortificare anche il più consumato degli spettatori. In mezzo all'abiezione più profonda c'è sempre spazio per un momento di distensione, di calore, di humor. Ci vuole davvero del talento per trovare il lato buffo nell'incontro tra una ragazza madre con poppante al seguito e una prostituta sversa con una siringa infilata nel braccio, ciononostante Ben Drew ci riesce alla grande, permettendosi addirittura una citazione della famosa scena del "morto di giornata" di Frankenstein Junior. Imperdibile.

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