sabato 25 marzo 2017

Lake Mungo (Joel Anderson 2008)


Lake Mungo parte come un documentario su un tragico evento di cronaca, l'annegamento di una ragazza durante un picnic al lago con la famiglia, per poi prendere direzioni del tutto imprevedibili. Quando crediamo di sapere dove sta andando a parare, quando finalmente ci siamo accomodati in poltrona convinti di averlo inquadrato in un genere ben definito, è lì che ci frega, entrando sottopelle senza che ce ne accorgiamo. Oltre ad essere uno degli horror più efficaci e originali che abbia visto da molto tempo a questa parte e un esempio eccellente di come si possa ottenere il massimo shock con il minimo budget, è anche una riflessione inaspettatamente toccante sul mistero che ogni persona prematuramente scomparsa lascia dietro di sé, e sui salti di fede che siamo o non siamo disposti a compiere pur di stabilire un dialogo che travalichi i confini della morte, la "macchina più stupida che c'è".

Alice scompare una sera del dicembre 2005 durante un picnic con i genitori e il fratello nei dintorni della sonnolenta cittadina australiana di Ararat. L'asciugamano abbandonato sulla spiaggia lascia supporre che abbia incontrato la morte durante il suo ultimo bagno nel lago adiacente, ma le circostanze dell'incidente rimangono poco chiare. La ricostruzione di quella tragica notte è affidata alle testimonianze dirette dei familiari e ai video girati dalla polizia al momento del ritrovamento del corpo, illividito e gonfio per la lunga permanenza in acqua. I genitori rievocano i particolari più insignificanti e strazianti di tutta la vicenda, come la luce della veranda che ancora oggi lasciano accesa nella speranza che Alice faccia un impossibile ritorno a casa, o il disagio della madre nel constatare che delle tre generazioni che compongono la famiglia (figlia, madre, nonna) la morte ha deciso di portarsi via la più giovane, in un sovvertimento totale dell'ordine naturale delle cose*.

Le interviste sono così realistiche che in un primo momento ho pensato si trattasse di un vero e proprio documentario, non di un mockumentary confezionato a regola d'arte. Il dolore composto dei parenti di fronte alle telecamere non potrebbe essere più autentico, così come è assolutamente convincente l'alternanza, tipica dei reportage, di testimonianze verbali, filmini familiari a bassa risoluzione e inserti paesaggistici. Ma più di ogni altra cosa è la sovrabbondanza di dettagli umani assolutamente gratuiti ad alimentare il sospetto che si tratti di un fatto realmente avvenuto. Quando la madre confessa di essersi introdotta nottetempo nelle case altrui per concedersi la breve illusione di vivere la vita di qualcun altro, o quando l'ex fidanzato racconta di aver composto il numero di cellulare di Alice sperando che la sua morte facesse parte di un macabro scherzo o di un sogno, ho pensato che nessun horror avrebbe mai dedicato tanto spazio a simili particolari, e quindi doveva trattarsi necessariamente di una storia vera. Il padre ricorda addirittura di essere tornato a casa in retromarcia la notte dell'incidente a causa di un guasto, il tipico dettaglio inutile che si sedimenta nella memoria quando facciamo esperienza di un trauma. Insomma, si ha davvero la sensazione di trovarsi davanti a persone in carne ed ossa che non hanno paura di mostrare la propria vulnerabilità, non a personaggi che si attengano a una sceneggiatura studiata a tavolino. Se devo dirla tutta, mi sono perfino rifiutato di cercare informazioni sul film proprio perché in fondo mi piace continuare a credere che si tratti di un documentario autentico.

La vicenda di Alice mi ha coinvolto a tal punto che dopo mezz'ora dall'inizio del film ho pensato che la direzione fosse ormai tracciata e che l'intento del regista Joel Anderson fosse quello di enfatizzare, dedicandogli un intero documentario, la portata di un evento di cronaca certamente drammatico (reale o inventato che fosse) ma tutto sommato banale nella sua tragicità, forse per mostrarci quanto fragile sia l'illusione di eternità su cui fondiamo le nostre vite. Mi sono ricordato del racconto "Un mercoledì" dello scrittore ungherese István Örkény**, dove la morte di un uomo qualunque spentosi nel sonno per un semplice arresto cardiaco diventa un caso di importanza nazionale, al punto che cinema e ristoranti si svuotano per via del senso di paura e sfiducia diffusosi nei cuori degli uomini, «perché ormai non sono più neppure sicuri che loro e i loro cari si sveglieranno dal sonno».

Beh, ero completamente fuori strada. La vicenda di Alice in effetti è un po' particolare. Il padre, gran lavoratore con i piedi ben piantati per terra, riferisce di aver avvertito presenze anomale nella stanza ormai disabitata della figlia, e racconta perfino di un incontro ravvicinato con lei qualche mese dopo il funerale. Sarebbe facile liquidare la sua storia come allucinazione o incubo, se non fosse che la telecamera del figlio sembra aver catturato l'immagine di uno spettro aggirarsi per i corridoi dell'abitazione. Si tratta di suggestione oppure è davvero il volto sfocato di Alice quello che vediamo sullo schermo? Forse in fin dei conti la luce accesa in veranda non è una precauzione così inutile... Ora, possiamo essere più o meno sensibili all'argomento "paranormale", ma in realtà chi sta dietro la telecamera non vuole convincerci di nulla, anzi, condivide il nostro stesso scetticismo e ci presenta i fatti senza frapporre alcun giudizio, lasciando la parola a chi ha vissuto la storia sulla propria pelle. Così facendo si guadagna la nostra fiducia e abbassa le nostre difese, preparando pazientemente il terreno per ciò che verrà dopo.

A questo punto mi sembra di aver già detto anche troppo, per cui mi fermo qui. Uno dei punti di forza del film consiste proprio nel suo sapersi trasformare continuamente, oscillando subdolamente tra naturale e soprannaturale e infiltrandosi nel nostro subconscio senza che percepiamo tutto questo come una minaccia, per cui è bene arrivare il più possibile impreparati. Lungo il cammino potrà capitare di ritrovarsi in piena zona Twin Peaks, dove gli orrori della placida vita di provincia riemergono insieme ai cadaveri, o di perdersi nel polveroso deserto di Picnic a Hanging Rock, nelle cui profondità dimora il destino di ogni uomo. A cavallo tra dramma familiare e horror paranormale, thriller cospirazionista e found-footageLake Mungo cambia continuamente faccia, e chissà che una di queste non tolga il sonno anche a voi come è successo con me. Sì, perché era dai tempi di The Blair Witch Project e Session 9 che non mi capitava di chiudere le ante di tutti gli armadi prima di andare a dormire. Cosa si può chiedere di più?



*In una fiaba zen si narra di un uomo che chiede una benedizione per sé e la sua famiglia a un monaco buddista, il quale risponde con questo messaggio benaugurante: «Muore il nonno, muore il padre, muore il figlio». L'uomo va in collera, ma il monaco lo ammonisce: «Ti ho augurato la più grande delle fortune, e cioè che la vostra dipartita avvenga secondo l'ordine naturale».

**István Örkény, Budapest 1921 - 1979. Il racconto "Un mercoledì" fa parte della raccolta Novelle da un minuto (Edizioni e/o, 1991) che consiglio caldamente.

4 commenti:

  1. Recensione superba.
    Peccato ti sei fermato per gli spoiler, metti un avvertimento e vai tranquillo, anche perchè tutto il grosso era proprio sulla parte mancante...
    Allora non sono stato un cretino a fermare il film dopo mezz'ora per controllare se fosse tutto vero ;)

    come al solito dai piccole di cultura notevolissime

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    1. Grazie Giuseppe. Hai ragione, ho tagliato corto perché mi sembrava che mai come in questo caso raccontare significasse diminuire. E in generale sì, sono un po' spoilerfobico.
      Guarda, non sono ancora convinto adesso che è un mock, non foss'altro perché per scrivere la sceneggiatura avranno pur dovuto attingere a esperienze personali... insomma qualcosa di vero c'è per forza, e mi basta questo pensiero per rabbrividire.
      Quanto alla cultura, spero sian pillole e non supposte

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    2. Suppongo sian pillole.
      Insomma, pillole supposte

      ma dai, liberati, il problema degli spoiler è solo se non si avverte, se si avverte prima che problema c'è?

      basta non metterli a tradimento

      sì, vero, c'è una componente dolorosamente umana dentro che da qualche parte deve venire

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    3. Guarda sto scrivendo sulla cura dal benessere e ho fatto proprio così, avviso e poi parto a spron battuto
      Quando ho finito leggo la tua, sono curioso

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