Pauline, trentaseienne separata con due figli, lavora come infermiera a domicilio in una cittadina nel nord della Francia. La sua vita scorre serena e senza particolari scossoni, finché un giorno l'anziano medico di famiglia, il dottor Berthier, molto attivo nella vita politica locale, le propone di candidarsi alle elezioni comunali per un giovane partito "né di destra né di sinistra" a forte connotazione nazionalistica. Lusingata e spiazzata in ugual misura, Pauline non comprende perché per portare avanti quel profondo rinnovamento della società auspicato da Berthier e dal suo movimento abbiano pensato a una come lei, poco abile nelle public relations e assolutamente digiuna di politica nonostante un padre agguerrito sindacalista metalmeccanico. Se tuttavia in un primo momento rifiuta energicamente qualsiasi coinvolgimento, man mano prende coscienza dell'opportunità che quella candidatura potrebbe rappresentare, sia per lei stessa, sempre più frustrata da un lavoro che le dà grandi soddisfazioni sul piano umano ma scarsa sicurezza economica, sia per i suoi concittadini, al cui malcontento la sua professione la espone quotidianamente.
Conquistata dall'ottimismo velleitario di Berthier, Pauline finisce per accettare di mettere la faccia sui manifesti del partito accanto a quella della capolista Agnès Dorgelle, una bionda di mezza età dallo strabordante carisma, complici anche la ritrovata intesa sentimentale con Stéphane, un ex compagno di scuola di ultradestra noto ai commilitoni con il nome da combattimento di "Stanko", e il contagioso entusiasmo patriottico dell'amica Nathalie, che promette di supportarla nella gestione dei figli e del tempo libero. Ma Pauline è troppo sprovveduta per capire cosa comporti realmente fare attività politica tra le fila di un partito che dietro un'apparenza di democrazia e legalità nasconde un'anima oltranzista e xenofoba. Ben presto si renderà conto di aver incautamente consegnato le chiavi della sua vita privata al partito e di essere diventata una pedina nelle mani di persone con le quali non ha in comune nulla di più di un generico fervore ideologico di matrice populista.
All'indomani della sua adesione al movimento, l'organizzazione della sua giornata viene affidata a una zelante segretaria che si vanta di aver distribuito nastrini ai congressi del partito dall'età di cinque anni. Viene poi costretta a sottoporsi a un restyling per renderla più accattivante agli occhi degli elettori, e le viene perfino chiesto di interrompere la relazione con Stéphane, perché la dirigenza del partito, non certo per motivi ideologici quanto per mero opportunismo politico, teme qualsiasi associazione con movimenti di estrema destra. Amici e familiari di Pauline non tardano a recepire la sua brusca trasformazione da persona mite, tollerante e vicina ai deboli a fanatica paladina di un non ben specificato "popolo" francese. Diventata portavoce di un programma fortemente discriminatorio verso minoranze etniche e religiose, si attira la delusione del padre, che si sente tradito negli ideali per cui si è sempre battuto, ma anche la diffidenza di molti pazienti musulmani con cui fino a quel momento era stata in ottimi rapporti. Fin dove è disposta a sacrificarsi per una causa che in linea di principio approva entusiasticamente, ma che stride con il principio di empatia che ha da sempre governato la sua vita?
A casa nostra (Chez nous il titolo originale) è stato presentato dal regista Lucas Belvaux in anteprima nazionale al cinema Classico torinese. Ci ha spiegato che il film è stato accolto con ostilità da parte del Front National francese, partito di estrema destra in forte ascesa negli ultimi anni, che si è giustamente riconosciuto nel fittizio Rassemblement National Populaire in cui si arruola la protagonista e ha ravvisato nel personaggio della fondatrice Agnès Dorgelle la figura di Marine Le Pen, presidente del FN. Ma i punti di contatto con l'attualità non si limitano alla realtà francese. In una scena che dovrebbe risuonare in modo particolare nella memoria degli spettatori italiani, il picchiatore Stéphane partecipa a un raid punitivo ai danni di un gruppo di zingari, rei di aver rubato delle lamiere da un veicolo abbandonato, per poi postare sui social network una serie di foto che lo ritraggono mentre li prende a bastonate o li rinchiude in una gabbia improvvisata. In effetti Belvaux fotografa con precisione e lucidità di analisi un momento della storia francese, e più in generale europea, in cui populismi e fascismi di nuova generazione ma vecchio stampo stanno riaffiorando in modo prepotente, e lo fa restringendo il campo a una realtà che conosce bene, quella del nord della Francia (l'immaginaria cittadina di Hénard dove si svolge la storia è con ogni probabilità ispirata al comune di Hénin-Beaumont, roccaforte del FN). Il rapporto tra Pauline e suo padre, fatto di silenzi e incomprensioni, ritrae con grande efficacia una frattura generazionale in cui molti degli ideali che hanno reso possibili importanti trasformazioni sociali che oggi diamo per scontate sono andati perduti, non si sa bene se per incapacità di chi doveva trasmetterli o per disinteresse delle nuove generazioni.
Gli spettatori, prevalentemente di mezza o terza età, hanno reagito al film con grande partecipazione, approfittando della presenza del regista in sala per esprimere apprezzamenti e subissarlo di domande. Immancabile la critica velata da domanda, «Lei pensa che mostrare la realtà sia sufficiente a cambiarla?» che sottintende una visione del cinema non come arte fine a se stessa, ma come impegno civile e politico. D'altra parte, anche se si rifiuta di definire il suo film "militante", è una visione che lo stesso Belvaux sembra condividere, dal momento che ammette di aver avvertito l'urgenza di raccontare questa storia proprio in vista delle prossime elezioni presidenziali, e tradisce infatti una certa soddisfazione nel riportare che alcuni elettori del FN hanno riveduto radicalmente le proprie posizioni dopo la visione*.
Personalmente, per quanto l'inarrestabile avanzata del populismo europeo mi inquieti non poco, ho trovato l'approccio di Belvaux un po' dottrinario. Il personaggio di Pauline, interpretato da Émilie Dequenne con la giusta dose di docilità e irruenza, è credibile e ricco di sfumature, ma non si può dire lo stesso di Stanko, di notte picchiatore e di giorno affettuoso padre adottivo, che non ha nessuna speranza di evolversi nel corso del film perché, come nelle migliori favole esopiche. è stato messo lì apposta per incarnare il motto "il lupo perde il pelo ma non il vizio". Altrettanto forzato e debolmente motivato è il sentimento antislamico che si impadronisce dei figli adolescenti dell'amica di Pauline, come a voler dimostrare che l'odio si trasmette di padre in figlio come una malattia genetica - tesi in parte condivisibile, ma che meritava forse un discorso più articolato.** E mentre lasciavo vagare il mio sguardo per la sala, gremita del fior fiore dell'intellighenzia torinese di sinistra, perfettamente sintonizzata sulle frequenze ideologiche del film, non potevo fare a meno di chiedermi se per caso Belvaux, pur animato da ottime intenzioni, non fosse caduto nella proverbiale predica ai convertiti, con buona pace di coloro che si sarebbero "ravveduti" grazie a questo film. Ma forse è soltanto che questo tipo di narrazione, che postula una parte giusta in cui riconoscersi e un passato-zavorra incombente sul futuro come una granata inesplosa, fa poca presa su di me, sebbene con i contenuti mi trovi sostanzialmente d'accordo. E anche se non mi passerebbe mai per la testa di votare il Front National o il suo equivalente al di qua delle Alpi, anch'io in qualche modo sento che uno strappo generazionale esiste, ma difficilmente film come A casa nostra potranno ricucirlo.
A casa nostra uscirà nelle sale italiane il 27 aprile, a cavallo tra il primo e l'eventuale secondo turno delle elezioni presidenziali francesi.
* "Per dirla senza tanti giri di parole, le elezioni presidenziali si avvicinavano e realizzare questo film sembrava piuttosto urgente." (dalla "Nota del regista" distribuita in occasione della prima nazionale)
** Niente da nascondere di Michael Haneke è forse il film che meglio ha saputo raccontare le contraddizioni insanabili della società francese.
All'indomani della sua adesione al movimento, l'organizzazione della sua giornata viene affidata a una zelante segretaria che si vanta di aver distribuito nastrini ai congressi del partito dall'età di cinque anni. Viene poi costretta a sottoporsi a un restyling per renderla più accattivante agli occhi degli elettori, e le viene perfino chiesto di interrompere la relazione con Stéphane, perché la dirigenza del partito, non certo per motivi ideologici quanto per mero opportunismo politico, teme qualsiasi associazione con movimenti di estrema destra. Amici e familiari di Pauline non tardano a recepire la sua brusca trasformazione da persona mite, tollerante e vicina ai deboli a fanatica paladina di un non ben specificato "popolo" francese. Diventata portavoce di un programma fortemente discriminatorio verso minoranze etniche e religiose, si attira la delusione del padre, che si sente tradito negli ideali per cui si è sempre battuto, ma anche la diffidenza di molti pazienti musulmani con cui fino a quel momento era stata in ottimi rapporti. Fin dove è disposta a sacrificarsi per una causa che in linea di principio approva entusiasticamente, ma che stride con il principio di empatia che ha da sempre governato la sua vita?
A casa nostra (Chez nous il titolo originale) è stato presentato dal regista Lucas Belvaux in anteprima nazionale al cinema Classico torinese. Ci ha spiegato che il film è stato accolto con ostilità da parte del Front National francese, partito di estrema destra in forte ascesa negli ultimi anni, che si è giustamente riconosciuto nel fittizio Rassemblement National Populaire in cui si arruola la protagonista e ha ravvisato nel personaggio della fondatrice Agnès Dorgelle la figura di Marine Le Pen, presidente del FN. Ma i punti di contatto con l'attualità non si limitano alla realtà francese. In una scena che dovrebbe risuonare in modo particolare nella memoria degli spettatori italiani, il picchiatore Stéphane partecipa a un raid punitivo ai danni di un gruppo di zingari, rei di aver rubato delle lamiere da un veicolo abbandonato, per poi postare sui social network una serie di foto che lo ritraggono mentre li prende a bastonate o li rinchiude in una gabbia improvvisata. In effetti Belvaux fotografa con precisione e lucidità di analisi un momento della storia francese, e più in generale europea, in cui populismi e fascismi di nuova generazione ma vecchio stampo stanno riaffiorando in modo prepotente, e lo fa restringendo il campo a una realtà che conosce bene, quella del nord della Francia (l'immaginaria cittadina di Hénard dove si svolge la storia è con ogni probabilità ispirata al comune di Hénin-Beaumont, roccaforte del FN). Il rapporto tra Pauline e suo padre, fatto di silenzi e incomprensioni, ritrae con grande efficacia una frattura generazionale in cui molti degli ideali che hanno reso possibili importanti trasformazioni sociali che oggi diamo per scontate sono andati perduti, non si sa bene se per incapacità di chi doveva trasmetterli o per disinteresse delle nuove generazioni.
Gli spettatori, prevalentemente di mezza o terza età, hanno reagito al film con grande partecipazione, approfittando della presenza del regista in sala per esprimere apprezzamenti e subissarlo di domande. Immancabile la critica velata da domanda, «Lei pensa che mostrare la realtà sia sufficiente a cambiarla?» che sottintende una visione del cinema non come arte fine a se stessa, ma come impegno civile e politico. D'altra parte, anche se si rifiuta di definire il suo film "militante", è una visione che lo stesso Belvaux sembra condividere, dal momento che ammette di aver avvertito l'urgenza di raccontare questa storia proprio in vista delle prossime elezioni presidenziali, e tradisce infatti una certa soddisfazione nel riportare che alcuni elettori del FN hanno riveduto radicalmente le proprie posizioni dopo la visione*.
Personalmente, per quanto l'inarrestabile avanzata del populismo europeo mi inquieti non poco, ho trovato l'approccio di Belvaux un po' dottrinario. Il personaggio di Pauline, interpretato da Émilie Dequenne con la giusta dose di docilità e irruenza, è credibile e ricco di sfumature, ma non si può dire lo stesso di Stanko, di notte picchiatore e di giorno affettuoso padre adottivo, che non ha nessuna speranza di evolversi nel corso del film perché, come nelle migliori favole esopiche. è stato messo lì apposta per incarnare il motto "il lupo perde il pelo ma non il vizio". Altrettanto forzato e debolmente motivato è il sentimento antislamico che si impadronisce dei figli adolescenti dell'amica di Pauline, come a voler dimostrare che l'odio si trasmette di padre in figlio come una malattia genetica - tesi in parte condivisibile, ma che meritava forse un discorso più articolato.** E mentre lasciavo vagare il mio sguardo per la sala, gremita del fior fiore dell'intellighenzia torinese di sinistra, perfettamente sintonizzata sulle frequenze ideologiche del film, non potevo fare a meno di chiedermi se per caso Belvaux, pur animato da ottime intenzioni, non fosse caduto nella proverbiale predica ai convertiti, con buona pace di coloro che si sarebbero "ravveduti" grazie a questo film. Ma forse è soltanto che questo tipo di narrazione, che postula una parte giusta in cui riconoscersi e un passato-zavorra incombente sul futuro come una granata inesplosa, fa poca presa su di me, sebbene con i contenuti mi trovi sostanzialmente d'accordo. E anche se non mi passerebbe mai per la testa di votare il Front National o il suo equivalente al di qua delle Alpi, anch'io in qualche modo sento che uno strappo generazionale esiste, ma difficilmente film come A casa nostra potranno ricucirlo.
A casa nostra uscirà nelle sale italiane il 27 aprile, a cavallo tra il primo e l'eventuale secondo turno delle elezioni presidenziali francesi.
* "Per dirla senza tanti giri di parole, le elezioni presidenziali si avvicinavano e realizzare questo film sembrava piuttosto urgente." (dalla "Nota del regista" distribuita in occasione della prima nazionale)
** Niente da nascondere di Michael Haneke è forse il film che meglio ha saputo raccontare le contraddizioni insanabili della società francese.
Ero in sala anche io.
RispondiEliminaNonostante l’urgenza di realizzare un film di questo tipo soprattutto in Francia e pur considerando l’innegabile realtà dell’appeal di ideologie del tipo di quelle del Rassemblement National Populaire/Fronte National, su molta parte della popolazione, ho trovato il personaggio di Pauline, troppo semplicistico e, a mio parere, poco credibile. Nel film le viene detto che “è una persona intelligente”. Beh, da come viene rappresentata, non pare proprio (su questo mi allineo con uno degli ultimi commentatori fra il pubblico che parlava un italiano con un’inflessione anglosassone). Una che a detta sua non si occupa né si è mai occupata di politica però sa che i governi che si sono succeduti sono tutti uguali ed è tutto lo stesso schifo.
Ho trovato soprattutto alcuni passaggi mal costruiti e realizzati con una faciloneria e un’approssimazione che mi sono parsi stridenti con la finalità del film. In primis la sua adesione al movimento (che da subito si presenta come è veramente) sino alla pacifica accettazione (per mio conto davvero incomprensibile) del ”passato” neonazi del suo compagno Stephane (dopo aver sfogliato l’esaustivo dossier a suo carico) al quale lei dice di non poter rinunciare “perché i suoi figli hanno bisogno di lui” cioè di uno che fa saluti a braccio teso, gira con le svastiche addosso e imbraccia fucili (?!?). Poi il padre, sindacalista comunista che, prima rimane profondamente (e giustamente ritengo) deluso dalla scelta della figlia e, in seguito, alla partita è improvvisamente allegro e felice insieme a lei e ai nipoti. Cioè questo avviene perché ha rinunciato alla candidatura, anche se esce con un estremista/picchiatore di estrema destra? Perché in un paese di mille anime tutti conoscono tutti e non può (data anche la specifica militanza politica) non sapere chi sia. (?!?) E da ultimo la situazione del disvelamento di quale persona sia realmente Stephane, attraverso le foto (che risalgono a molto prima ma provvidamente precedono quelle appena scattate allo stadio) viste casualmente (?!?) sullo smartphone.
Insomma le buone intenzioni (che assolutamente riconosco al regista) non sempre producono un buon film.
Ciao.
e.l.e.n.a.
http://caterpillar.iobloggo.com
Ciao e.l.e.n.a. innanzitutto scusa se ti ho dato dell'intellighenzia torinese. Sono d'accordo con te su molte cose, in effetti le foto sul cellulare a mo' di presentazione powerpoint erano un pelo, giusto un pelo forzate, e neppure io mi spiego quella reunion finale all'insegna della concordia, come se per il padre la rinuncia di Pauline fosse sufficiente per "scurdarse o passato" e fare combriccola con il suo arcinemico. Però a me il personaggio di Pauline ha convinto, proprio perché priva di memoria storica, completamente ignara di ciò che succede nel suo paese e per questo più intortabile. Il fatto che decida di ignorare il dossier su Stanko mi sembra che calzi a pennello da una parte con la sua scarsa familiarità con la cultura scritta, la Storia e i suoi simboli (tatuaggi neonazi compresi), dall'altra con la sua intelligenza emotiva e umana che la porta a rapportarsi senza pregiudizi con persone di ogni estrazione e credo, nel bene e nel male - ed è per questo, secondo me, che quelle foto sul cellulare hanno un impatto decisivo su di lei, al contrario delle scartoffie. Comunque è vero, le buone intenzioni non sono garanzia di buon cinema...
EliminaGrazie per la tua visita. Ho aggiunto il link al tuo blog (che già conoscevo, anche se l'ho letto ancora poco) tra gli "amici poeti", spero ti piaccia..
Ciao!
inizio dalla fine: grazie per l'inserimento!
RispondiEliminamagari ci saremo pure incontrati qualche volta a sentire piero negri e gli altri poeti ai vari poetry slam cittadini!
forse sono stata condizionata dalla la mia personale esperienza. lascio da parte tutti i disastri, le colpe, le mancanze della sinistra italiana.
però c'è un però. io sono figlia di un padre comunista. militante anche se non sindacalista. per me, quale che sia il giudizio sull'attuale classe politica mai e poi mai - per il mio vissuto, la mia cultura, semplicemente il respirare una certa aria - passerei sopra ad un passato così pesante. per quello mi appare poco plausibile, nel senso che ok avere "scarsa" memoria storica, ma non esserne totalmente priva come Pauline. Non avere una coscienza politica è una cosa e ci sta magari, ma non avere un'etica mi pare impossibile per la sua provenienza e proprio per quell'empatia che prima, durante la sua attività professionale, dimostra.
ciao!
e.l.e.n.a.
Possibilissimo allora che ci siamo incontrati! Grazie a te per il posticino nel tuo blogroll :)
EliminaCapisco cosa vuoi dire, e sono d'accordo con te che una come Pauline non possa per davvero abbracciare un'ideologia del genere. Però non penso si renda conto di sconfessare i principi etici in cui crede nel momento in cui aderisce al partito. Si fa piuttosto trascinare dall'emozione, fidandosi delle persone che ha intorno, senza neanche sfogliare il programma. Probabilmente non pensa ci sia nulla di male se suo figlio gioca alla guerra con Stanko, così come non capisce perché improvvisamente i suoi pazienti musulmani non gradiscano più la sua presenza. Non so, sarà che ne ho conosciute di persone così, intelligenti colte sensibili eppure facili prede del fascismo più becero...
Ciao!
Domenica ero in Francia e ho osservato le persone entrare in un paio di seggi elettorali ... speriamo bene (o quanto meno il meno peggio) per il prossimo turno ...
EliminaSì, speriamo che il film di Belvaux abbia fatto un sacco di proseliti :)
EliminaScherzi a parte è un momento delicatissimo per l'Europa, speriamo davvero di scongiurare la catastrofe... lo sapremo presto
Se non altro il peggio è scongiurato. PS sei andata a vedere Piero Negri alla Luna's Torta? Purtroppo io non ce l'ho fatta
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