domenica 13 maggio 2018

Insect (Jan Švankmajer, 2018) - Recensione


Il regista e animatore ceco Jan Švankmajer, classe 1934, che davate per morto ma in realtà è vivo da impazzire, maestro indiscusso della stop-motion e autore di cortometraggi dal surrealismo disturbante come il celeberrimo Possibilità di Dialogo, nonché di inquietanti lungometraggi tra i quali spicca una versione particolarmente dark di Alice nel Paese delle Meraviglie, artista versatile senza il quale Tim Burton avrebbe certamente intrapreso una sfavillante carriera da elettrauto, ebbene questo umile e geniale regista ceco, reduce dagli anni bui di un regime che non è riuscito a stritolarlo, e ora vittima di un sistema apparentemente più innocuo ma più subdolo dove scialbi supereroi sono più quotati di un Bianconiglio di pezza che stupisce nel constatare la propria non-vita, questo artista dicevo ormai alla fine della sua carriera e della sua esistenza visibile ci onora con la richiesta di contribuire alla realizzazione del suo ultimo film, un'opera per metà recitata da persone in carne ed ossa e per metà interpretata da insetti-marionette di kafkiana memoria, all'insegna dello sperimentalismo più sfrenato e della più spietata misantropia.
Se tutto questo per voi non significa nulla siete delle persone orribili.

Questo è l'accorato appello che rivolgevo ai miei contatti Facebook due anni fa, quando Jan Švankmajer stava raccogliendo fondi per il suo nuovo e a detta sua ultimo film attraverso un fundraising sulla piattaforma Indiegogo. In effetti poter dare un piccolo contributo alla realizzazione di Insect per me non significava soltanto partecipare simbolicamente al progetto di un regista che insieme a Jiří Trnka faceva parte del mio personale olimpo dell'animazione, ma era soprattutto un modo per sostenere con convinzione un certo tipo di arte sempre più difficile da portare avanti nel panorama cinematografico odierno, un'arte che non si piega alle aspettative del partito dominante né al gusto del pubblico, che si alimenta soltanto del potere dell'immaginazione senza alcuna pretesa di insegnare, educare, intrattenere, che si fa beffe delle esigenze del mercato raccontando per mezzo di improbabili connubi tra live-action e stop-motion storie prive di qualsiasi consequenzialità logica. Lo stesso Švankmajer nel prologo di Insect precisa di aver scritto la sceneggiatura in modo automatico, sotto dettatura dell'inconscio, evitando deliberatamente di inserire un messaggio o una morale di qualunque tipo. È la dittatura dell'immaginazione: ogni considerazione al di là della pura creatività esula dal processo artistico.

Promessa mantenuta. Prendendo come punto di partenza l'opera teatrale Della vita degli insetti (Ze života hmyzu, 1925), una satira politica che i fratelli scrittori Karel e Josef Čapek (noti soprattutto in patria ma non per questo poco importanti, basti pensare che a loro si deve la coniazione della parola robot) pubblicarono al principio della loro prolifica carriera letteraria, Švankmajer racconta la storia di una compagnia teatrale improvvisata alle dipendenze di un tirannico regista-impresario impegnato con una messinscena del testo sopracitato. Tra contrattempi, dilettantismo e svogliatezza degli attori, le prove per lo spettacolo hanno esiti catastrofici: il signor Scarabeo Stercorario, prima ancora che di recitazione, ha gravi difficoltà di lettura del testo; colui che dovrebbe interpretare il Parassita applica troppo alla lettera il metodo Stanislavskij e cade in un sonno che soltanto la promessa del cibo può interrompere; quando non è occupata a sferruzzare, la signora Larva prorompe in grida isteriche alla vista di insetti creati dalla sua immaginazione, e nel frattempo il regista, che interpreta anche la parte di Papà Grillo, impartisce senza sosta ordini che puntualmente non vengono esauditi. Qualunque fosse l'argomento del testo satirico dei fratelli Čapek, non rimane che qualche battuta fuori contesto ripetuta fino al parossismo.


A spiazzare ancora di più della trama grottesca e ossessivamente ripetitiva è il discorso metanarrativo che interrompe a più riprese la narrazione. Da una scena in cui il signor Scarabeo viene inseguito da un'enorme palla di sterco (non fate domande) si passa senza soluzione di continuità a un'altra in cui vediamo Švankmajer impegnato nelle riprese, mentre due tecnici degli effetti speciali fanno rotolare la sfera di pseudo-letame in direzione dell'attore Jiří Lábus. A volte il resoconto della tecnica con cui è stata realizzata una certa scena precede la scena stessa, come nel caso del vomito della signora Larva, un nauseabondo frullato di verdure di cui l'attrice Ivana Uhlířová è costretta a riempirsi la bocca per simulare un violento rigurgito. Un'altra di queste interruzioni è particolarmente interessante perché getta luce sul modo di lavorare di Švankmajer. Gli attori, dice il regista, devono dimenticarsi di tutto ciò che hanno imparato al corso di teatro per abbracciare invece uno stile di recitazione assolutamente privo di emozioni, come se fossero «mossi da fili invisibili», il che è perfettamente coerente con la totale assenza di spessore psicologico dei personaggi che essi interpretano. Così Insect è allo stesso tempo un film e un documentario sulla sua realizzazione, senonché l'assurdo di cui è imbevuta la storia di questi uomini-insetto finisce per contaminare anche gli spazi della vita reale, trasformando quello che avrebbe potuto essere un comune "dietro le quinte" in una sorta di confessionale in cui gli attori raccontano le proprie avventure oniriche, non meno insensate della storia che sono chiamati a rappresentare.

Dato il mio amore per il surrealismo e la mia passione infantile per il mondo degli insetti, ero sicuro che Insect mi avrebbe conquistato all'istante, ma è successo tutto il contrario: alla soddisfazione di essere tra i primi privilegiati a vedere Insect in quanto sostenitore della campagna è subentrata ben presto una grande delusione. Tanto per cominciare non ho apprezzato le continue interruzioni metanarrative, più adatte come contenuti extra di un DVD che come parte integrante del film. Sicuramente è affascinante vedere Švankmajer all'opera, osservare da vicino il procedimento della stop-motion, capire come nascono certe scene; eppure se ne trae l'impressione che la storia parallela della realizzazione di Insect, anziché scaturire dall'esigenza di esprimere qualcosa, per Švankmajer rappresenti più che altro un'occasione per autoincensarsi, sbandierare la propria illimitata libertà espressiva e, non da ultimo, allungare un po' la minestra quel tanto che basta per coprire la distanza tra mediometraggio e lungometraggio. A voler essere maligno, aggiungerei: il tutto a nostre spese, e se fossimo in un film di Woody Allen, definirei questo atteggiamento come "tremendamente indulgente".


C'è però un altro aspetto che mi ha disturbato ben più della mise en abyme, e riguarda il modo in cui vengono trattati gli insetti sul set. Ora, non ho idea se le leggi che tutelano gli animali sul set includano o meno gli insetti, immagino di no, ma mi è indifferente: Švankmajer può non aver infranto alcun regolamento, ma di certo ha violato le leggi non scritte del rispetto che andrebbe tributato ad ogni forma di vita, indipendentemente dalla sue dimensioni. Vedere uno scarabeo strapazzato e infilzato vivo su uno spillo, uno scarafaggio annegato nella birra, decine di formiche succhiate con un aspirapolvere perché ormai diventate inutili ai fini delle riprese, il tutto condito da grandi risate dell'intera troupe, francamente mi fa orrore. Il sacrificio di questi insetti è particolarmente odioso perché viene compiuto in nome dell'arte, un'arte oltretutto che si vorrebbe consacrata alla ricerca della poesia che si nasconde in ogni aspetto della vita, non importa quanto umile o insignificante, ma che in questo modo finisce per contraddire tristemente se stessa senza neanche avvedersene.

La persona di Švankmajer ne esce in qualche modo ridimensionata, come se Insect avesse fatto emergere un lato sinistro della sua creatività che altrove non aveva avuto occasione di esprimersi; come se il grande animatore, attingendo al mondo inesauribile della sua fantasia infantile, fosse entrato in contatto anche con il bambino che distrugge, tortura, uccide per puro divertimento. Che questa sommessa violenza sia uno degli effetti indesiderati della dittatura dell'immaginazione, un prezzo con cui occorreva fare i conti fin da principio? Può darsi; ma a posteriori è un prezzo che avrei preferito non pagare.

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