domenica 10 febbraio 2019

Tramonto (László Nemes 2018)


Ogni civiltà ha in sé il germe del proprio disfacimento. Questo sembra essere l'assunto fondamentale di Tramonto, ultimo film del regista ungherese László Nemes già autore de Il figlio di Saul che nel 2016 gli valse l'Oscar come miglior film straniero. Qui il regista ungherese mette in scena il periodo immediatamente precedente uno dei maggiori slittamenti di paradigma del secolo scorso, quel primo conflitto mondiale che travolse l'impero austro-ungarico e sconvolse l'Europa, e lo fa raccontando la storia di Írisz Leiter, giovane modista ungherese di ritorno a Budapest dopo una giovinezza trascorsa a Trieste. I genitori, proprietari della rinomata cappelleria Leiter, perirono in un incendio quando lei era troppo piccola per avere dei ricordi, e i nuovi gestori ora guardano a lei con sospetto e uno strano timore reverenziale, come se la sua sola presenza fosse presagio di mala sorte e bancarotta, oltretutto proprio nei giorni in cui fervono i preparativi per il trentesimo anniversario dell'attività. Ma non si tratta soltanto del buon nome della ditta: con il suo ritorno in patria, Írisz sembra aver messo in moto una serie di eventi di cui le sfugge il significato, e che oltre a lei potrebbero coinvolgere un altro membro della famiglia di cui ignorava l'esistenza. Quale oscuro segreto si nasconde nel suo passato, e quale misteriosa forza la spinge a mettere a rischio la propria vita per disseppellirlo?

(presenti spoiler)

La Budapest di inizio secolo, succursale in rovina della più nobile Vienna, trasuda un fascino arcano ed è irta di pericoli, specialmente per una fanciulla delicata che se ne va in giro con vestitini ricamati e cappellini alla moda triestina. Non è al sicuro neppure nella camera degli ospiti dei Leiter, figuriamoci nelle strade polverose e malfamate della periferia, dove lo stupro è dietro l'angolo e laide compagnie di masnadieri si riuniscono in oscuri seminterrati tramando contro il potere, né tantomeno nel covo di quel pericoloso omicida al quale, così si mormora, potrebbe essere imparentata da un legame di sangue. Eppure qualcosa le dice che lei con quella gente ha molto più da spartire che non con il mondo rarefatto dell'alta moda, un mondo che con i potenti va a braccetto e ai potenti si fregia di confezionare copricapi piumati su misura. Le sue radici la vorrebbero seduta davanti alla macchina da cucire a sognare un futuro da servitrice presso la corte imperiale, ma la sua vera inclinazione la trascina verso il fuoco dei fucili e il sudore della lotta. Írisz incarna alla perfezione quella generazione che rivolse le armi contro l'aristocrazia asburgica e diede inizio alla Prima Guerra Mondiale, e forse non è un caso che tra i significati del sostantivo tedesco Leiter ci sia quello di "condottiero".


In questo capovolgimento di sorti, il cappello ha una forte connotazione simbolica. La prima scena ci mostra Írisz intenta a sollevare la veletta di un cappellino da signora, e quale migliore immagine per preannunciare il percorso che la porterà a sbarazzarsi delle proprie origini e del destino che le era stato assegnato? Un cappello nero da uomo, tutto ciò che rimane del defunto padre, le serve da lasciapassare per introdursi nel locale di soli uomini dove si prepara la rivoluzione: un'impostura, un travestimento più che un cimelio di famiglia. Il cappellino, invece, è il bene di lusso per eccellenza, e la scintillante cappelleria di Budapest, vivaio di inconsapevoli concubine al servizio della corte imperiale, è il simbolo di un'epoca di soprusi legittimati dal diritto di sangue e di una dinastia ormai avviata alla Götterdämmerung, il crepuscolo degli dèi: la stessa sorte toccherà ai pregiati copricapi, che concluderanno la loro parabola discendente nel fango delle trincee, dove verranno sostituiti dagli elmetti militari.

Oltre a costituire una riflessione sul tramonto di un'epoca, Tramonto è a tutti gli effetti anche un emozionante film d'avventura. L'eroina è di volta in volta sballottata da un angolo all'altro della città, costantemente in balia di uomini che nella migliore delle ipotesi vorrebbero rispedirla da dove è venuta, nella peggiore possederla oppure ucciderla. In una scena particolarmente intensa, Írisz si ritrova nel bel mezzo di un raid ai danni di una contessa e degli ospiti venuti ad ascoltare un enfant prodige del violino, in un'escalation di violenza che è tanto più scioccante quanto più placidi sono gli istanti che l'hanno preceduta. Non mancano i colpi di scena e le rivelazioni inaspettate tipiche della detective story. Man mano che Írisz prosegue nel suo viaggio si sciolgono a poco a poco i nodi irrisolti del suo passato e la sua indole più autentica comincia a prendere il sopravvento. È insieme un percorso geografico, una lotta per la sopravvivenza e una presa di coscienza.


Il lavoro di ricostruzione della Budapest di inizio Novecento è talmente accurato che si è tentati di studiarlo, per proprietà transitiva, come si farebbe con un documento autentico dell'epoca. Le macchine da cucire, le carrozze guidate da irruenti vetturini, i treni a vapore, gli arredi sontuosi delle ville aristocratiche e quelli fatiscenti delle case popolari, i costumi  ogni elemento della messinscena contribuisce a creare un'esperienza immersiva nel cuore di una metropoli in fermento, dove coesistono, come una miscela pronta ad esplodere, i rituali asfittici di un'oligarchia prossima all'estinzione e i moti della rivolta. L'unico ostacolo ad intraprendere uno studio di questo tipo è dato dal fatto che tutti questi elementi, un po' come succedeva ne Il figlio di Saul, sono quasi sempre mantenuti fuori fuoco  il che, a benpensarci, rende questo meticoloso lavoro di ricostruzione ancora più straordinario. Il fuori fuoco consente a Nemes e al direttore della fotografia Mátyás Erdély di evitare l'effetto diorama tipico di certe produzioni hollywoodiane di ambientazione storica; restringere il campo visivo a ciò che Írisz vede e sente in un dato momento, inoltre, ha l'effetto di accrescere la suspense e il senso di incertezza intorno al destino che la attende. Lo spettatore condivide il punto di vista parziale e soggettivo della protagonista, ed è costretto ad una perlustrazione ininterrotta dello spazio: il suo occhio è come un diaframma che deve aggiustare continuamente la messa a fuoco per raccogliere quante più possibili informazioni sull'ambiente circostante. Fondamentali sono anche gli stimoli acustici, che spesso rappresentano per Írisz un'ancora di salvezza non meno di quelli visivi; il vociare confuso della folla, frammisto al frastuono delle carrozze e allo scalpiccio dei cavalli, non fa che aumentare il senso di smarrimento e di mistero.

Si può forse avere qualche riserva sull'inespressività un po' cerea dell'attrice principale, o sulle improbabili circostanze che portano il suo personaggio a trovarsi sempre nell'occhio del ciclone (addirittura l'onore di misurare la circonferenza cranica della principessa? ma se in negozio non ha fatto altro che battere la fiacca!); d'altra parte è lei stessa a tuffarcisi, in ragione di un istinto che forma parte della sua natura e determina il suo destino. Quanto alla distribuzione, è un peccato che un film di questa portata sia rimasto nei cinema per tre giorni soltanto, perché è unicamente sul grande schermo che si possono non dico apprezzare, ma anche soltanto vedere i dettagli della messa a fuoco selettiva che fanno di Tramonto un'esperienza unica; ma nell'epoca di Netflix, tre giorni di programmazione in sala sono grasso che cola.

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