venerdì 29 settembre 2017

Schegge di memoria #2: Psycho (Alfred Hitchcock, 1960)


La mia prima visione di Psycho risale agli anni dell'università, quando, preda di una specie di ossessione compilativa, avevo stilato una lista di film che avrei dovuto assolutamente vedere per potermi considerare un buon cinefilo. La lista in questione derivava a sua volta dall'intersezione di almeno altri tre elenchi virtuosi, i Grandi Classici Del Cinema, i Film Più Strani Mai Realizzati e i Film Da Vedere Assolutamente Prima Di Morire (ma anche i Film Più Disturbanti Di Sempre devono aver avuto la loro parte). Negli anni seguenti, conquistato faticosamente il minimo sindacale di intelletto necessario per sbattermene sia delle liste che delle etichette (oggi davvero non saprei dire che cosa sia un cinefilo) mi resi conto non soltanto che il mio progetto era irrealizzabile per limiti di tempo connaturati alla durata della vita, ma soprattutto (e qui si manifestava tutta la follia di quel progetto) che di quei pochi film che mi ero autoinflitto, più per senso del dovere che per reale interesse, altro non restava nella memoria se non qualche fotogramma sbiadito. Di Psycho, nella fattispecie, che a buon diritto era finito nel mio elenco scellerato, non ricordavo nulla di più di ciò che con ogni probabilità ogni spettatore già conosce anche senza aver visto il film: il bianco e nero, l'assassinio nella doccia, lo sguardo folle di Norman Bates e poco altro. Insomma, ero riuscito nell'impresa di uccidere a sangue freddo la mia passione per il cinema trasformandola in una checklist.

Ma le conseguenze di questo approccio insulso non si limitavano a una semplice perdita di tempo. Concentrare la mia attenzione soltanto su "capolavori" e film "di rilievo" da una parte aveva ottenebrato le mie facoltà di giudizio, perché in qualche modo mi sembrava doveroso uniformarmi all'opinione condivisa di gente molto più preparata di me in materia, e dall'altra aveva appiattito l'esperienza della visione a una mera fruizione, perché ogni emozione era subordinata alla smania di conoscenza. Invece di reagire semplicemente alle immagini che mi passavano davanti, mi sforzavo, fotogramma dopo fotogramma, di riconoscerne la grandezza. A ciò si aggiungeva una crescente insofferenza verso i film che i più giudicavano mediocri (mi tenevo bene alla larga da titoli del tipo L'amore e altre catastrofi) o irrilevanti nel panorama cinematografico (perché sprecare energie per L'amore sospetto quando al mondo esisteva Chinatown?). Com'era prevedibile, con questo sistema persi ben presto quella scintilla che da sempre mi aveva portato al cinema.

Non mi ero inventato nulla: stilare liste era l'ossessione del nuovo millennio, e io c'ero cascato come un allocco. C'è voluto molto tempo prima che mi liberarassi da questa trappola mentale, e a volte, specialmente quando sta per essere distribuito qualche film "imprescindibile", complice anche l'hype mediatico che circonda ogni nuova uscita in sala, ci ricasco con la stessa idiozia di allora. Ma fortunatamente non è successo con Psycho, almeno non questa volta: la proiezione, parte di una rassegna del Massimo 3 torinese dedicata al periodo hollywoodiano di Alfred Hitchcock, mi ha dato l'occasione di riscoprire questo film con occhi nuovi e senza alcun timore reverenziale, un po' come se invece di una pietra miliare del cinema mondiale stessi guardando una puntata de La signora in Giallo. Di seguito qualche considerazione sparsa.

venerdì 22 settembre 2017

The teacher (Jan Hřebejk 2016)


Siamo in Cecoslovacchia, è il primo giorno di scuola dell'anno scolastico 1983/84 in una scuola media nei dintorni di Bratislava. La nuova insegnante fa ingresso in aula e si presenta come la signora Maria Drazdechová, dopodiché procede a fare l'appello. Stranamente, però, ciò che sembra interessarle più di ogni altra cosa non è tanto entrare in confidenza con la classe, accorciare la distanza con i nuovi allievi, bensì appuntarsi su un taccuino la professione che esercitano i rispettivi genitori: il padre di Ondřej (invento, non ricordo i dettagli) è impiegato all'aeroporto, la madre di Helena è parrucchiera, Jana è orfana di madre ma in compenso il padre ripara elettrodomestici... La macchina da presa, forse presagendo che il futuro non riserva nulla di buono, indugia sui volti luminosi e spensierati dei ragazzini che ad alta voce scandiscono le informazioni richieste, e certo non sospettano che in quella pratica vi possa essere alcunché di insolito. Nel frattempo, il montaggio alternato mostra quegli stessi genitori riuniti in assemblea qualche mese più tardi, come si può evincere dalla data vergata a gesso sulla lavagna, nell'atto di valutare alla presenza della direttrice scolatisca un'eventuale espulsione della signora Drazdechová dal corpo insegnanti. Tutto ciò che succede a cavallo di questi due eventi chiave è l'argomento di questa acuta, potentissima tragicommedia del regista ceco Jan Hřebejk.