lunedì 26 marzo 2018

Annientamento (Alex Garland, 2018) – Recensione


Ho visto Annientamento, l'ultimo film del regista Alex Garland, comodamente sdraiato sul divano. Forse non è una grande notizia, ma personalmente è l'ultima maniera in cui mi sarei aspettato di vedere il nuovo e per me attesissimo lavoro del creatore di Ex Machina, uno dei film di fantascienza più interessanti e concettualmente densi degli anni 2000, una sintesi perfetta di effetti speciali tanto riusciti quanto scevri di qualunque esibizionismo (gli valsero l'Oscar), personaggi finemente caratterizzati e splendidamente interpretati, il tutto sorretto da una sceneggiatura a orologeria con qualche venatura di assurdo a controbilanciare la grazia asettica dei luoghi e il tenore filosofico dei dialoghi – insomma, tutto ciò che si può chiedere al genere fantascienza concentrato in un'ora e tre quarti.

Recentemente, ripensando a quel film, mi sono chiesto: avrei apprezzato allo stesso modo le trasparenze della bionica protagonista, il contrasto straniante tra l'eleganza del laboratorio e il rigoglio della foresta di là dai vetri, l'irrompere inaspettato delle luci psichedeliche, se invece che in sala avessi visto Ex Machina sullo schermo castigato di un laptop o su quello, quantunque HD, di una televisione? No, ne sono sicuro: la visione ne avrebbe risentito pesantemente, addomesticata da un formato che in nessun modo avrebbe potuto rendere giustizia del lavoro meticoloso di regista, attori, scenografi, tecnici del suono e delle luci, e via dicendo. A mio parere non c'è nulla che possa sostituire l'esperienza in sala, e anzi ci sono film che non andrebbero visti se non in sala. C'è qualcosa di delittuoso nell'infilare un DVD di Kubrick, Lynch, P. T. Anderson nell'alloggiamento di un portatile, anche se mi rendo conto che in molti casi è l'unica opzione disponibile, a meno di non essere disposti ad un'attesa indefinita e potenzialmente infinita: ho dovuto aspettare trentatré anni per godermi l'odissea di Kubrick in tutto il suo abbacinante splendore, ma l'attesa è stata pienamente ricompensata. Una visione troppo romantica del cinema? Può darsi, ma è l'unica che mi appartiene.