Quando nel 1997 uscì nelle sale Funny games, che valse a Michael Haneke aspre critiche per quello che venne giudicato un uso strumentale e voyeuristico della violenza, il regista dichiarò in propria difesa che si trattava di un gioco con lo spettatore, chiamato ad esercitare la sua libertà di non guardare: l'intento era dunque quello di provocarlo, urtare la sua sensibilità, titillare il suo desiderio di continuare, nonostante tutto, a godersi lo spettacolo. Coloro che si alzano dalla poltrona non hanno bisogno del mio film, dichiarò il regista, mentre chi resta fino alla fine ha bisogno di essere torturato per tutti i 110 minuti della sua durata. È da ipocriti, argomentò Haneke, accettare le regole del gioco per poi protestare una volta che questo è terminato.
Se Funny games si configurava come un'aggressione a mano armata alla sensibilità dello spettatore, che poteva reagire con il rifiuto o la connivenza, Elle assomiglia più a una molestia alla quale non sappiamo bene se opporre resistenza. A giudicare dalla reazione del pubblico, un cinema Massimo stipatissimo in occasione della 34esima edizione del Torino Film Festival, direi che la meglio l'ha avuta il regista Paul Verhoeven.