mercoledì 23 novembre 2016

Elle (Paul Verhoeven 2016)


Quando nel 1997 uscì nelle sale Funny games, che valse a Michael Haneke aspre critiche per quello che venne giudicato un uso strumentale e voyeuristico della violenza, il regista dichiarò in propria difesa che si trattava di un gioco con lo spettatore, chiamato ad esercitare la sua libertà di non guardare: l'intento era dunque quello di provocarlo, urtare la sua sensibilità, titillare il suo desiderio di continuare, nonostante tutto, a godersi lo spettacolo. Coloro che si alzano dalla poltrona non hanno bisogno del mio film, dichiarò il regista, mentre chi resta fino alla fine ha bisogno di essere torturato per tutti i 110 minuti della sua durata. È da ipocriti, argomentò Haneke, accettare le regole del gioco per poi protestare una volta che questo è terminato.

Se Funny games si configurava come un'aggressione a mano armata alla sensibilità dello spettatore, che poteva reagire con il rifiuto o la connivenza, Elle assomiglia più a una molestia alla quale non sappiamo bene se opporre resistenza. A giudicare dalla reazione del pubblico, un cinema Massimo stipatissimo in occasione della 34esima edizione del Torino Film Festival, direi che la meglio l'ha avuta il regista Paul Verhoeven.

Schermo nero, un gemito che potrebbe essere di piacere o di dolore: la prima scena ricorda l'incipit di Un mostro dalle mille teste. Qui però non si tratta di malattia, ma di uno stupro: Michèle (Isabelle Huppert, in un ruolo che sembra scritto su misura per lei) è riversa sul pavimento, vittima di un'aggressione sessuale nel salotto di casa da parte di un uomo con il volto coperto da un passamontagna. Senonché ciò che avviene dopo la fuga dello sconosciuto è ancora più sconcertante: invece di chiedere aiuto ai vicini, chiamare la polizia, asciugarsi il liquido mestruale che le cola lungo le cosce, per prima cosa Michèle comincia a raccogliere meticolosamente i cocci dei soprammobili infrantisi durante la colluttazione, come se stesse rimuovendo le tracce di un banale incidente domestico. Lo shock è più nostro che suo. Perché non reagisce come ci aspetteremmo? Dove sono le lacrime, il dolore, il terrore che l'aggressione possa ripetersi? E soprattutto, com'è possibile tornare alla vita di tutti i giorni - il lavoro, la famiglia, gli amici, gli amanti - dopo un'esperienza del genere?

Altrettanto spiazzante è constatare che il tono del film non è esattamente come la brutalità della prima scena lasciava immaginare. Per essere preparata nel caso di una nuova intrusione, Michèle sostituisce le serrature di tutte le porte e si arma di un potente spray al peperoncino; eppure, quando con goffa nonchalance estrae una sorta di accetta ricurva dalla vetrinetta di un negozio di armi, ci viene da ridere. Così come è buffo il modo in cui rimprovera il suo gatto per aver assistito immobile alla scena: "Non dico sbranarlo, ma almeno il gesto di saltargli addosso potevi farlo..." Per non parlare del figlio tontolone di Michèle, incapace di digerire le verità più lampanti, o la madre ottantenne, in procinto di sposarsi con un attraente quanto vacuo toyboy, entrambi generatori di irresistibili momenti comici. In effetti si ride molto durante la visione di Elle: naturale, è una commedia. Un momento: cosa ci fa una scena di stupro in una commedia?

Anche qui si tratta di un gioco, ed è talmente sottile che quando ce ne rendiamo conto è troppo tardi: a poco a poco Verhoeven ci porta ad accettare l'inaccettabile, a ridere di situazioni che fuori contesto farebbero rabbrividire, a goderci senza sensi di colpa quella stessa violenza che di primo impatto ci era sembrata troppo pesante da mandare giù, accogliendo così l'idea che anche l'evento più indesiderabile possa in fondo avere dei risvolti positivi. Per capire quanto sia andata in tilt la nostra "bussola morale" durante il corso del film basta ripensare a quella prima scena, facendo il confronto fra la nostra interpretazione iniziale e quella ricalibrata alla luce degli eventi successivi.

Sono film come Elle che, a mio parere, ridefiniscono il concetto di spettacolo moralmente accettabile, perché allentano le nostre difese senza fare proclami (a differenza di Funny games, dove gli assassini si rivolgevano direttamente a noi spettatori) e facendoci sentire al sicuro: fondamentale per la buona riuscita dell'operazione è la presenza di personaggi che danno voce alle nostre perplessità, assicurandoci che all'interno della storia c'è chi è pronto a difendere il nostro senso morale ferito - gli amici scioccati al vedere Michèle imperturbabile, il vicino di casa che ascolta imbarazzato il racconto tragicomico di un massacro.

Non si tratta di sottoporre a censura l'operazione di Verhoeven; si tratta piuttosto di chiedersi se la linea di demarcazione tra provocazione raffinata e bieca exploitation non sia labile quanto il confine tra vittima e carnefice. Perché in fondo anche noi, come il gatto di Michèle, rimaniamo a guardare senza muovere un dito.

Il déjà vu. Dopo aver raccolto i cocci, Michèle si immerge in una vasca di spuma; in corrispondenza del suo sesso vediamo il sangue che, a macchia d'olio, colora di rosso vivo le bollicine di sapone. Abbiamo già visto Isabelle Huppert in una vasca da bagno perdere sangue dalle zone intime in un altro sconvolgente film di Haneke, La pianista.

2 commenti:

  1. Molto bene ;)

    io metterei anche l'interruzione di riga, i lettori dicono che è molto più bello scrollare in giù e vedere tanti post invece che doverli scorrere tutti per l'intera lunghezza.

    ma questa è anche una cosa estetica, quindi scegli te

    quando arrivi a 10,12 pezzi se vuoi procediamo ;)

    scusa ma non ho visto nessuno dei film che hai recensito, Plà a parte

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    Risposte
    1. In effetti è molto meglio con l'interruzione!
      Per adesso mi sono divertito assai, spero continui così e quando arrivo a 10-12 te lo dico..
      Se vuoi puoi leggere l'ultimo post (l'immagine impossibile), dubito che avrai mai occasione di vederlo, è un piccolo film tedesco, ma fai te
      Ciao!

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