domenica 1 gennaio 2017

La mano (Jiří Trnka 1965)

Ruka.
Un umile vasaio trascorre la sua serena esistenza plasmando vasi di terracotta nella soffice intimità delle sue quattro mura domestiche, un microcosmo composto da pochi semplici oggetti: una pianta di rose, un letto, uno specchio, una finestra su un prato cinguettante, un mobile a due ante, un acquaio e un tornio a pedale. Finché un giorno non si presenta alla sua porta una malevola Mano guantata, che gli intima di realizzare una scultura celebrativa raffigurante una mano con il pugno chiuso e l'indice alzato nell'atto di impartire un ordine. Dapprima lo scultore si rifiuta categoricamente di mettere la propria arte al servizio del dispotico committente, nonostante la ricompensa offerta sia molto allettante: gloria, denaro, quieto vivere, piacere sessuale. Quando però le minacce e i ricatti sfoceranno nella violenza dovrà rassegnarsi a diventare una marionetta asservita ad un potere che ingabbia e annichilisce, da cui fuggire è impossibile se non a costo della stessa vita...

Opera ultima del celebre sceneggiatore, illustratore e animatore ceco Jiří Trnka, non stupisce che il cortometraggio La mano (in ceco Ruka) fosse stato messo (tardivamente) al bando in seguito alla morte dell'autore avvenuta nel dicembre del 1969, ossia circa un anno e mezzo dopo l'occupazione della Cecoslovacchia da parte dei carri armati sovietici, evento che riconsegnò il Paese nell'orbita di influenza sovietica dopo il breve tentativo di democratizzazione ad opera del riformista slovacco Alexander Dubček. Impossibile infatti non riconoscere nella Mano guantata che minaccia il protagonista l'allegoria di un potere che stritola l'iniziativa personale e la libera espressione artistica, sorte questa toccata a molti intellettuali vissuti all'ombra del dominio sovietico. A questo proposito è triste constatare una contraddizione insanabile di molti poteri dittatoriali: l'intelligenza che è capace di riconoscere il valore iconoclasta e rivoluzionario di un'opera d'arte è la stessa che la mette all'indice e la etichetta come "arte degenerata".

Come molti altri lavori di Trnka la storia è raccontata per mezzo della stop-motion, una tecnica di animazione che consiste nel simulare il movimento di un oggetto tramite l'accostamento di fotogrammi discreti che lo ritraggono in posizioni diverse nello spazio. Il protagonista, un pupazzo vestito da arlecchino dall'espressione immutabile, a parte gli occhi ora aperti ora chiusi, prende vita per effetto dei movimenti che le sapienti mani di Trnka gli imprimono. In effetti la stessa espressione facciale può esprimere di volta in volta emozioni diverse a seconda della situazione, della gestualità, dell'inclinazione rispetto alla macchina da presa e della colonna sonora, a riprova del fatto che l'Effetto Kulešov si applica anche alle marionette. Le immagini che seguono mostrano rispettivamente il protagonista serenamente immerso nel suo lavoro, terrorizzato, e in preda ad un accesso d'ira: in tutti e tre i casi l'espressione del viso è sempre la stessa, ma appare diversa per effetto del contesto.




La Mano stessa assume personalità differenti a seconda del colore del guanto che indossa: bianca quando tenta di convincere l'artista con le buone, merlettata e rossosmaltata se sta cercando di fare leva sui suoi istinti più bassi, nera quando diventa apertamente ostile. Dove non bastassero i segnali visivi, ci pensa la musica di Václav Trojan a chiarire il grado di minaccia che essa rappresenta.




La bravura di Trnka tuttavia non sta soltanto nell'utilizzare magistralmente la stop-motion, ma anche nel saperla amalgamare alle tecniche tipiche del cinema "dal vero". Ad esempio la messa a fuoco ha spesso la funzione di aumentare la profondità della scena, oppure di drammatizzare l'azione enfatizzando alcuni dettagli chiave. Nella prima immagine la testa sfocata in primo piano esagera le dimensioni della stanza, mentre nella seconda la porta sfocata in secondo piano prefigura l'arrivo dello sgradito ospite.



La sovrapposizione di immagini riveste occasionalmente una funzione psicologica, ad esempio quando illustra il contenuto di una conversazione telefonica in cui il protagonista respinge le lusinghe della fama e del denaro, sopperendo così all'assenza di qualsiasi dialogo o didascalia.


Ruka si imprime per sempre nella memoria per la semplicità e l'immediatezza del suo messaggio, la capacità di parlare un linguaggio universale e libero da vincoli verbali, e per la vivacità dei suoi mezzi espressivi. Non bisogna lasciarsi ingannare dall'apparenza innocua della confezione: molto prima di Tim Burton, Jiří Trnka ci insegna che anche una storia raccontata con dei pupazzi può essere più che mai disturbante.

Trnka affida così la scrittura del suo testamento poetico a una mano e a una marionetta, elementi base del suo mestiere: ad essi il compito di insegnarci la differenza tra un'arte asservita al potere ed una libera da costrizioni ideologiche - messaggio che la messa al bando postuma del film, da parte dello stesso potere che in esso viene rappresentato, non fa altro che amplificare.



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