sabato 14 gennaio 2017

Caravaggio (Derek Jarman 1986)


Si comincia dalla fine: Caravaggio giace sul letto di morte assistito da Jerusalem, il servo muto che per tutta la vita ha macinato polveri colorate per farne pigmenti da stendere sulla tela del maestro. In preda al delirio della febbre malarica, il moribondo ripercorre i momenti salienti della sua vita: l'adolescenza tra pittura di strada e prostituzione, le prime commissioni importanti e la raggiunta notorietà sotto la protezione del mecenate e cardinale Francesco Maria del Monte, il triangolo artistico-amoroso con l'irruento Ranuccio (interpretato da Sean Bean, attore che mi assicurano essere molto famoso) e la sua volubile compagna Maddalena (il primo ruolo di Tilda Swinton sul grande schermo).

Difficile distinguere verità storica e invenzione poetica in questo celebre e bellissimo lungometraggio del fu regista inglese Derek Jarman, ispirato alla vita del pittore Caravaggio, al secolo Michelangelo Merisi (1571 - 1610). D'altra parte non è nelle intenzioni di Jarman restituire un ritratto fedele del pittore, quanto piuttosto comporre una sorta di poema visivo prendendo spunto dagli episodi biografici di un artista con cui condivide lo sperimentalismo radicale e forse anche un certo modo di rapportarsi all'arte e alla vita. Lo schermo di Jarman è un telo con una duplice funzione. Da una parte ricrea le situazioni che hanno dato origine ai quadri più celebri di Caravaggio, facendo mirabile uso della luce e della profondità. Canestre di frutta, modelli dall'apparenza efebica, lottatori di strada posano immobili in attesa di essere trasfigurati dal pennello (fittizio) di Caravaggio e dalla cinepresa (reale) di Jarman. Dall'altra parte il regista si sbizzarrisce a creare composizioni inedite e personalissime, spalmando sullo schermo fango rappreso e succo di limone, mescolando il sudore della lotta con i fiotti di sangue.

Mentre gran parte dei film in cui ci imbattiamo si limitano a stimolare vista e udito, Caravaggio è un'esperienza che coinvolge tutti i sensi, causando (almeno così è stato per il sottoscritto) reazioni fisiche molto intense. Una scena in cui Ranuccio accetta un generoso compenso in dobloni d'oro per posare nello studio del maestro, pagamento che gli viene somministrato per via orale, mi ha letteralmente dato i conati, come se di colpo mi fosse perfettamente chiaro cosa significa avere un grappolo di monete in bocca. La fisiologia ha la meglio sulla psicologia anche quando Jerusalem si spreme un limone intero direttamente nelle fauci, per nessun altro motivo se non per appagare il desiderio artistico-erotico del regista, mentre un'altra scena in cui Caravaggio durante una rissa in una locanda si ritrova con la faccia immersa in un guazzetto di carciofi rancidi ha mandato definitivamente in tilt i miei neuroni specchio. In mezzo a quest'orgia di sensazioni non ricordo scene di sesso "grafico", in compenso la narrazione in versi delle fantasie omosessuali del protagonista in punto di morte sono più potenti di qualunque immagine.

Se in un primo momento l'unica eccezione alla verosimiglianza storica sembra essere l'incongruenza tra l'ambientazione italiana e i dialoghi in lingua inglese, man mano che ci addentriamo nella storia cominciano a saltare all'occhio degli anacronismi ben più evidenti: una calcolatrice tascabile, un camioncino, un giornale accartocciato a mo' di berretto, una radio accesa, il rumore del traffico che entra da una finestra spalancata. Un po' più difficile è comprenderne il significato, almeno per chi come me è assolutamente digiuno di storia dell'arte: Jarman sta mutuando e portando alle estreme conseguenze una cifra stilistica dello stesso Caravaggio, che spesso vestiva di abiti contemporanei i personaggi dei suoi quadri. A quanto pare Sofia Coppola non ha inventato niente.


Nel tentativo di spiegare l'utilizzo dell'inglese mi sono imbattuto in una parola curiosa: anatopismo. Secondo una delle poche fonti disponibili, il "Grande dizionario della lingua italiana" di Salvatore Battaglia del 1961, si tratta di un «errore di luogo, collocazione di un evento, di un personaggio, in un luogo che non è quello reale». La definizione si applica al nostro caso, perché l'inglese antiquato e poetico usato da Jarman è plausibile nel XVI secolo, ma è il luogo ad essere "sbagliato". Più spesso accade che l'anatopismo sia riconducibile all'anacronismo, vedi ad esempio la stele di pietra di 2001 Odissea nello spazio, o le scarpe da ginnastica di Marie Antoinette, il che potrebbe spiegare perché il concetto non ha avuto grande fortuna nella letteratura. In effetti l'unico altro esempio di anatopismo puro che mi viene in mente è Il grande capo, che Lars von Trier si è divertito a disseminare di oggetti fuori contesto.

Tornando a Caravaggio, con tutte queste disquisizioni non vorrei aver dato l'idea di un film indigesto, perché in realtà per essere un film sperimentale basato sulla vita di un pittore barocco è piuttosto scorrevole e divertente. D'altra parte Jarman è molto attento a non tirare troppo la corda dello sperimentalismo: immagini visivamente ardite e situazioni insolite sono inserite in una narrazione che attinge di volta in volta a generi immediatamente riconoscibili per lo spettatore, come la commedia romantica (il triangolo Caravaggio-Ranuccio-Lena) l'horror gotico (il ricevimento alla corte pontificia con tanto di scheletri e zombie) l'horror splatter (l'arteria recisa che zampilla copiosamente) e perfino il mystery thriller (c'è un omicidio). Ragion per cui, se anche voi non conoscete l'opera di Jarman, Caravaggio potrebbe essere un ottimo punto di partenza.

(piccolo spoiler qua sotto)

Il pelo nell'uovo. Non so voi, ma io quando muore un personaggio sullo schermo sono sempre molto occupato a monitorare i parametri vitali dell'attore che lo interpreta: in genere si riescono a intravedere le orbite che oscillano sotto le palpebre, le sopracciglia che tremolano, lo sterno che tuttavia si riempie d'aria. D'altra parte mica l'attore può morire sul serio. Beh, con Tilda Swinton è diverso: l'elettrocardiogramma è piatto.

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