sabato 7 gennaio 2017

11 minuti (Jerzy Skolimowski 2015)


Stratificato, complesso e imperscrutabile, 11 minuti è un film che merita di essere visto e rivisto per cogliere appieno la logica inesorabile che governa le sue innumerevoli ramificazioni. Eppure nessuna visione potrà mai cancellare la sensazione di un qualcosa che sfugge definitivamente alla nostra comprensione, un tassello mancante che potrebbe forse dare un senso agli avvenimenti di cui siamo testimoni ma che in nessun modo riusciamo a indovinare.

Sullo sfondo di un'affollata metropoli polacca Skolimowski si diverte a far convergere, nell'arco temporale di 11 fatali minuti e nello spazio di un isolato, i destini di un gruppo eterogeneo di persone, costruendo così un esempio perfetto di quella che in letteratura viene talvolta chiamata network narrative. Se in un primo momento il numero di personaggi e la grande varietà di supporti video utilizzati (smartphone, telecamere portatili, monitor di sorveglianza) possono disorientare, a poco a poco il montaggio alternato ci consente di familiarizzare senza sforzo con la vicenda di ogni singolo personaggio, mentre il replay di una stessa scena da punti di vista diversi ci permette di incastrare l'uno con l'altro i tasselli di questo intricato mosaico.

Come spesso capita con le narrazioni "a incastro" si finisce per chiedersi se ciò che accade è opera del caso o se esiste piuttosto una qualche volontà oltreumana che manovra le esistenze dei protagonisti, ma sarebbe vano cercare una chiave interpretativa all'interno del film, che anzi Skolimowski si premura di disseminare di falsi indizi in modo da confondere il più possibile le carte in tavola. Inutile quindi arrovellarsi troppo sul significato di segni premonitori che pur avendo una chiara connotazione religiosa non necessariamente vanno a comporre una chiave di lettura "teleologica": una colomba che si schianta su uno specchio, un pipistrello intrappolato in ascensore, un passante che porta a spalle una grossa croce di legno, un inspiegabile fenomeno astronomico... In compenso la simbologia religiosa ci dà, a mio parere, alcune informazioni preziose sul modo in cui è stato pensato e costruito l'edificio del film.

Per prima cosa conviene chiedersi che cosa lega personaggi tanto diversi tra loro: un'attrice e un regista di film porno, un venditore di hot dog, un gruppo di suore, un pittore paesaggista... Una prima ovvia risposta è che sono tutti accomunati da un preciso evento che ha luogo nel pomeriggio di un 11 luglio del 2014 all'ombra di un hotel di Varsavia. Non si tratta di una mera location: come una sorta di castello dei destini incrociati, l'edificio in questione funge da catalizzatore di eventi e rappresenta in definitiva un vero e proprio personaggio del film. A volte la macchina da presa vi gira attorno per il puro piacere di osservarlo, come quando lo vediamo svettare da dietro la membrana iridescente di una gigantesca bolla di sapone, l'imperituro e l'effimero in un'unica potentissima inquadratura.

La seconda cosa che sembra accomunare i personaggi è il peccato, nel senso di un'infrazione più o meno consapevole a uno dei dieci comandamenti. Forse è un'ipotesi un po' azzardata, ma mi è sembrato di ravvisare una serie di analogie con l'opera di un altro regista polacco, Krzysztof Kieślowski, che ai comandamenti dedicò un'intera serie televisiva, il Decalogo. Anche in quel caso faceva da sfondo un palazzo di Varsavia, o per meglio dire un intero complesso di appartamenti, e anche lì vi si incrociavano le esistenze impervie di svariate persone, ciascuna alle prese con un dilemma morale ed esistenziale che in qualche modo si ricollegava ad uno dei comandamenti della religione cattolica. A ben guardare anche i protagonisti di 11 minuti si trovano ad affrontare questioni di carattere morale, anche se non sembrano esserne consapevoli. In effetti le loro azioni appaiono dominate esclusivamente dall'istinto, e il più delle volte è il sesso a farla da padrone: talvolta in modo predominante, come nel caso del corriere fedifrago, o più marginale, come nella storia della scalatrice "puritana". Più nel dettaglio potremmo individuare almeno una decina di subplots, ciascuno incidentalmente relazionato con un comandamento - a patto di fare nostra l'elasticità mentale che guidò Kieślowski nella realizzazione del suo Decalogo.

1) Non avrai altro Dio all'infuori di me.

Il giorno dopo aver ricevuto il sacramento del matrimonio, un'attrice porno si presenta ad un provino a porte chiuse con un viscido regista hard nella speranza di farsi assegnare una parte nel film "Professione: puttana". Ricordiamo che per la religione cattolica "Dio stesso è l'autore del matrimonio", pertanto la rottura del patto coniugale va intesa come un affronto verso Dio.

2) Non nominare il nome di Dio invano.

Alcune suore cedono alla tentazione di ordinare qualche hot dog supplementare da un venditore ambulante, pur essendo consapevoli di commettere quello che per i dettami del loro credo è classificato come peccato di gola. Una di esse ad un certo punto esclama: "Dio non voglia, ne prenderò solo uno!"

3) Ricordati di santificare le feste.

A poche ore dalla celebrazione del suo matrimonio, un giovane pony express cocainomane ha un rapporto sessuale con una donna sposata.

4) Onora il padre e la madre.

I paramedici di un'ambulanza si trovano a dover soccorrere una famiglia composta (presumibilmente) da una madre non più giovane in procinto di partorire, un padre violento che cerca di impedire in ogni modo l'accesso all'appartamento, due bambini piccoli e un anziano signore (forse il nonno) in lotta tra la vita e la morte.

5) Non uccidere.

Il marito dell'attrice porno di cui al punto 1), già resosi responsabile del pestaggio di un innocente, si reca nella stanza d'albergo dove si sta svolgendo il provino della neo-moglie con l'intento di massacrare il regista.

6) Non commettere atti impuri.

Il venditore ambulante di hot dog che abbiamo già incontrato al punto 2) è un ex-professore condannato per molestie su una studentessa; un'ordinanza restrittiva gli impone di non avvicinarsi alla scuola e di presentarsi settimanalmente alla centrale di polizia a firmare il registro dei sorvegliati speciali.

7) Non rubare.

Un ragazzo con uno zaino si presenta al monte dei pegni per commettere una rapina, ma qualcosa va storto.

8) Non dire falsa testimonianza.

Una coppia di fidanzati appassionati di alpinismo scopre che uno dei loro compagni di scalata ha recitato in un film porno. Lui non dà peso alla cosa, lei al contrario non riesce ad immaginare di poter dare ancora fiducia ad un capocordata dalla condotta morale discutibile.

9) Non desiderare la donna d'altri.

Il sopracitato regista di film porno vede nel recente matrimonio dell'attrice un incentivo supplementare per tentare di sedurla.

10) Non desiderare la roba d'altri.

Una ragazza di colore dalla folta chioma ricciuta, recentemente separatasi dal suo ragazzo, riesce ad ottenere la custodia del cane di lui facendo leva sul suo senso di colpa.

A mia memoria restano fuori soltanto due subplots: il pittore di acquerelli, che si imbatte nel giovane con lo zaino del punto 7), e la stazione di sorveglianza della polizia. Tuttavia sia il pittore che i poliziotti sono personaggi atipici, in quanto non interagiscono attivamente con gli altri personaggi ma rappresentano più che altro dei punti di osservazione distaccati e imparziali; non è un caso che il film si concluda proprio nella stazione di polizia, vero e proprio ricettacolo di immagini catturate negli angoli più remoti della città. In questo senso potremmo paragonarli al "testimone silenzioso" che compare brevemente in ogni episodio del Decalogo, quell'enigmatico personaggio che si limita ad osservare da vicino le umane faccende senza però mai prendervi parte.

Il "testimone silenzioso" del Decalogo.
Che 11 minuti abbia delle zone di contatto con il Decalogo mi sembra anche confermato dal titolo, quasi che Skolimowski volesse idealmente proseguire la numerazione cominciata da Kieślowski con un proprio personalissimo episodio (mi sembra invece che l'11 settembre c'entri poco o nulla). Del resto, anche se lo stile dei due registi è molto diverso, li accomunano la capacità di sospendere il giudizio sulle debolezze umane, e la riluttanza a fornire interpretazioni su ciò che viene raccontato. Comunque, Kieślowski o non Kieślowski, 11 minuti rimane un film articolato e simbolico, con una fitta rete di significati celati dietro la sua facciata vagamente pulp - anche se a posteriori è difficile dire che cosa vi sia di tanto misterioso in un intreccio di eventi forse un po' complicato, ma in fin dei conti perfettamente spiegabile e sintetizzabile in poche righe. Il fatto è che basta una sola macchia d'inchiostro a turbare la compostezza di un quadro perfettamente equilibrato nelle sue parti, così come tutte le telecamere del mondo non riusciranno mai a cancellare la sensazione che il motivo dell'inquietudine che il film ci lascia addosso sia da cercare proprio dietro quell'unico pixel malfunzionante.

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