Qualche anno fa, la famiglia che viveva nell'appartamento a fianco al mio decise di trasferirsi. A due settimane abbondanti dal trasloco, la padrona di casa mi chiamò nell'alloggio vuoto e mi mostrò una boccia di vetro: attraverso le pareti ormai coperte di muschio si intravvedevano due paia di occhietti imploranti. Decisi che mi sarei occupato dei due pesci rossi abbandonati, anche se non avevo la più vaga idea di come prendermi cura di loro, perché nella mia vita non avevo mai avuto altro che pennuti.
Grazie a Crik e Crok ho imparato molte cose. Tanto per cominciare ho avuto modo di constatare che quel luogo comune secondo cui i pesci non hanno memoria è soltanto un'immane sciocchezza: se all'inizio della convivenza i due pesciolini si erano dimostrati paurosi e diffidenti, con il passare del tempo avevano imparato a riconoscere la mia persona e a fidarsi della mano che ogni giorno distribuiva sulla superficie dell'acqua minuscole palline di spirulina. Quando avvicinavo la faccia alla parete trasparente dell'acquario mi nuotavano incontro scondinzolanti, mentre quando era un estraneo a farlo si rifugiavano con un guizzo fulmineo dietro le alghe artificiali che ricoprivano il fondo della vaschetta. Una mattina mi svegliarono dei colpetti ben assestati sulle pareti di vetro del contenitore, segno inequivocabile che qualcuno stava reclamando la consueta dose di cibo: imparai così che i pesci sono perfino capaci di stabilire una primordiale forma di dialogo con gli esseri umani, in barba alla separazione dei regni voluta dall'ordine naturale. Mi capita spesso di incontrare sedicenti amanti degli animali che rivendicano la superiorità del cane e del gatto come animali da compagnia, o che trattano i pesci alla stregua di un ornamento da salotto: a queste persone va il mio più profondo compatimento.